In sede giurisdizionale
Sentenza N. 00195/2018 Pubblicata il 04/04/2018
Il carattere della precarietà, ritenendo che tale carattere non può ravvisarsi in quelle opere che sono destinate a soddisfare “esigenze prolungate nel tempo” (anche CGA sentenza 547/13), atteso che la precarietà di un opera non deriva dalla sua più o meno agevole rimovibilità, ma da un canto dalla sua destinazione oggettiva e originaria a sopperire a una necessità contingente e temporanea al cui esaurimento la costruzione debba essere rimossa e dall’altro dalle ridotte dimensioni e dalle caratteristiche costruttive del manufatto
FATTO
L’odierna appellante ha impugnato in prime cure il provvedimento del Comune di Catania del 7.1.2016, con il quale è stata rigettata la segnalazione certificata di inizio attività del 24.12.2015 per l’installazione di un chiosco su area demaniale marittima, di mq 26,25, chiosco consistente in una struttura precaria in ferro e legno per il commercio di frutta e verdura.
L’appellante espone che nell’anno 2006 aveva già chiesto all’Autorità portuale l’autorizzazione all’installazione, sempre su area demaniale, di un chiosco in ferro delle stesse dimensioni (mq 26,25) per il commercio sopra ricordato, autorizzazione che le era stata rilasciata con provvedimento del 29.1.2010 n. 2.
Successivamente la stessa Autorità portuale, con provvedimento n. 8 del 18.7.2012, aveva autorizzato l’odierna appellante ad arretrare il padiglione espositivo all’interno dell’arcata ferroviaria retrostante, arretramento che è stato puntualmente eseguito dall’interessata.
Nel periodo successivo sono seguite varie interlocuzioni tra l’Autorità portuale, il Comune di Catania e la Sovrintendenza incentrate sulla circostanza che l’interessata non possedesse i necessari titoli edilizi comunali per realizzare la struttura progettata.
In data 3.12.2015 l’odierna appellante, con nota n. 404247, ha presentato al Comune segnalazione certificata di inizio dell’attività commerciale di vendita di frutta e verdura nella struttura al chiuso, costituita dal chiosco da installare nell’aera demaniale in concessione e in data 24.12.2015, al fine di regolarizzare la sua posizione anche dal punto di vista edilizio, ha presentato altra segnalazione certificata di inizio dell’attività edilizia con nota n. 429876, che, come si è detto sopra, è stata rigettata con provvedimento comunale del 7.1.2016, fondato su varie ragioni, tra le quali quelle di maggiore rilievo sembrano essere le seguenti: 1) l’area interessata dall’intervento sarebbe tipizzata dal PRG vigente quale sede stradale, ove non sarebbe consentita alcuna nuova costruzione, che, comunque, andrebbe assentita mediante concessione edilizia; 2) in ogni caso l’intervento non potrebbe essere assentito, in quanto non conforme alle previsioni del PRG.
Avverso il provvedimento negativo ha proposto ricorso al competente TAR l’interessata, che ha contestato le affermazioni del Comune sia in fatto che in diritto.
L’amministrazione ha resistito osservando, tra l’altro, che il chiosco, oggetto della controversia, sarebbe una struttura fissa ancorata al terreno, dotata di servizi igienici e stabilmente allacciata alla rete idrica ed elettrica comunale; non sarebbe destinata ad un uso precario e temporaneo, così che non assumerebbe rilevanza il fatto di essere smontabile e non infissa al suolo; l’area occupata sarebbe tipizzata come sede stradale, ove non è consentito in nessun caso realizzare altra volumetria oltre quella esistente.
Il Tribunale, con ordinanza del 9.3.2016, ha disposto verificazione al fine di accertare se il manufatto in contestazione fosse di facile rimozione, quesito al quale il verificatore ha risposto negativamente con relazione motivata depositata il 29.4.2016.
In pendenza del giudizio davanti al TAR il Comune, con provvedimento n. 135661 del 14.4.2016, ha annullato la segnalazione certificata di inizio dell’attività edilizia, presentata il 24.12.2015, provvedimento di annullamento impugnato dall’interessato, con ricorso per motivi aggiunti, con il quale sono state criticate, tra l’altro, le motivate conclusioni cui era pervenuto il verificatore.
Il Comune ha contestato con memoria del 1.7.2016 la fondatezza dei motivi del ricorso aggiuntivo, insistendo sulle precedenti difese e osservando, ulteriormente, che i calcoli della struttura non erano mai stati sottoposti al vaglio del Genio Civile e il manufatto, pur ricadendo in area soggetta a vincolo paesaggistico, sarebbe privo del necessario parere della Soprintendenza.
Il TAR con la sentenza impugnata ha rigettato il ricorso principale e ha dichiarato improcedibile il ricorso per motivi aggiunti.
Più precisamente, sulla base anche delle indicazioni fornite dal verificatore, premesso che la struttura di cui si tratta è destinata a soddisfare esigenze di natura permanente (lo svolgimento dell’attività commerciale) con conseguente occupazione in pianta stabile del terreno, ha ritenuto che al manufatto non fosse applicabile l’art. 5 della l.r. 37/85 e successive modifiche, per cui l’opera doveva essere assistita dal permesso di costruire.
Il rigetto del ricorso introduttivo ha determinato – ad avviso del primo Giudice - il venir meno della segnalazione certificata di inizio attività, presentata dalla ricorrente in data 24.12.2015 ed ha determinato altresì la nullità per impossibilità dell’oggetto del provvedimento n. 135661 del 14.4.2016, con il quale si era proceduto all’annullamento della stessa segnalazione certificata di inizio attività, quella cioè presentata dall’appellante il 24.12.2015.
Il ricorso per motivi aggiunti è stato quindi dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse, in quanto volto a contrastare un provvedimento che successivamente è risultato nullo per impossibilità dell’oggetto.
Avverso la sentenza ha proposto un lungo appello (più di 40 pagg.) l’interessata chiedendone l’annullamento unitamente agli atti impugnati col ricorso introduttivo.
L’appellante, dopo avere dedicato le prime 15 pagg. alla ricostruzione dei fatti, con alcuni motivi di appello ha criticato il capo della sentenza con cui è stato rigettato il ricorso principale e con altri il capo della sentenza con il quale è stato dichiarato improcedibile per sopravvenuta carenza d’interesse il ricorso per motivi aggiunti.
Con ordinanza 384/17 il Consiglio ha ritenuto che l’appello non fosse maturo per la decisione e, quindi, ha fatto obbligo all’amministrazione comunale di fornire documentati chiarimenti circa il regime giuridico dell’area su cui insiste il manufatto.
Il Comune ha depositato telematicamente la richiesta relazione in data 5.7.2017.
All’udienza del 14.3.2018 l’appello è stato trattenuto per la decisione.
DIRITTO
Per quanto possa dubitarsi che l’appello sia ammissibile tenuto conto che l’interessata gode soltanto di una licenza commerciale per la vendita di frutta e verdura non a posto fisso, ma come ambulante (come più volte sottolineato nelle difese comunali), il Collegio ritiene opportuno decidere la controversia nel merito.
L’appello appare infondato.
È innanzitutto il caso di precisare che ai sensi dell’art. 8 del DPR 6.6.2001 n. 380 “la realizzazione da parte di privati di interventi edilizi su aree demaniali è disciplinata dalle norme del presente Testo Unico.”.
Nessun rilievo ha quindi, ai fini della determinazione della disciplina edilizia da applicare, la circostanza che il manufatto, di cui si discute, debba essere realizzato su terreno demaniale dato in concessione all’appellante, in quanto in ogni caso debbono trovare applicazione le norme che governano l’edilizia nel Comune di Catania.
Ciò posto il problema di maggiore rilievo che il Collegio deve affrontare è se la realizzazione del chiosco debba essere assistita da un regolare permesso di costruire o ne possa prescindere in quanto costruzione “precaria” e facilmente amovibile.
A riguardo il Collegio non ritiene che possa prescindersi dalla descrizione che dell’opera fa il verificatore nominato dal Tribunale, indicazioni riprese ed arricchite dalla memoria del Comune, depositata telematicamente il 4.5.2017.
Osserva il verificatore, in sintesi, che l’opera progettata non presenta il carattere della precarietà, considerate le sue dimensioni, l’ancoraggio al suolo, gli allacci alla rete idrica ed elettrica, nonché la funzione stabile alla quale è destinata ovvero l’esercizio dell’attività commerciale di vendita di frutta e verdura. Questa, essendo destinata a fornire all’appellante i guadagni per i bisogni della vita, non può dirsi che assolva a soddisfare bisogni ed esigenze temporanei.
Il carattere della precarietà, che escluderebbe la necessità del permesso di costruire, risulta quindi escluso sia per le caratteristiche dell’opera sia per funzione cui essa è destinata, così che l’opera non può definirsi precaria né dal punto di vista obiettivo né dal punto di vista funzionale.
Peraltro, il Consiglio si è più volte occupato dell’individuazione delle caratteristiche che attribuiscono a un manufatto il carattere della precarietà, ritenendo che tale carattere non possa ravvisarsi in quelle opere che sono destinate a soddisfare “esigenze prolungate nel tempo” (CGA sentenza 547/13), atteso che la precarietà di un opera non deriva dalla sua più o meno agevole rimovibilità, ma da un canto dalla sua destinazione oggettiva e originaria a sopperire a una necessità contingente e temporanea al cui esaurimento la costruzione debba essere rimossa e dall’altro dalle ridotte dimensioni e dalle caratteristiche costruttive del manufatto.
Quanto poi al carattere obiettivamente non precario del manufatto di cui si discute, può aggiungersi, a quanto osservato dal verificatore, che sembra pacifico tra le parti che il trasferimento del chiosco richiederebbe un trasporto eccezionale, circostanza questa che non depone di certo a favore del carattere precario del manufatto.
L’appellante cerca di contestare le conclusioni cui è pervenuto il primo Giudice, richiamando l’art. 20, comma 1, l.r. 4/2003, a norma del quale la precarietà di un manufatto dovrebbe ricostruirsi esclusivamente sulla base delle sue caratteristiche obiettive prescindendo dai bisogni che esso tende a soddisfare.
Prescindendo dalla circostanza che, anche a seguire il ragionamento dell’appellante, il manufatto per le sue obiettive caratteristiche non potrebbe in nessun caso essere qualificato come precario, resta la considerazione ben messa in evidenza nella sentenza impugnata che l’art. 20, comma 1, l.r. 4/2003 si riferisce al caso in cui si proceda alla chiusura di terrazze di collegamento oppure di terrazze non superiori a mq 50,00 o alla copertura di spazi interni con strutture precarie.
Tutta la giurisprudenza pertanto citata da parte appellante a sostegno delle sue difese non incide sulle valutazioni che portano ad escludere la precarietà del manufatto in questione, considerato che si tratta di giurisprudenza che si riferisce alle sole ipotesi contemplate dall’art. 20, comma 1, l.r. 4/2003, mentre di certo ha ben altro valore generale la copiosa giurisprudenza richiamata nella memoria del Comune, che fa riferimento non solo ai pronunziamenti del Giudice amministrativo, ma anche a quelli della Magistratura ordinaria.
Dal momento quindi che il manufatto in questione abbisognava e abbisogna per la sua realizzazione del permesso di costruzione, che nel caso specifico non esiste, e che la sua realizzazione non poteva essere assentita con la semplice SCIA, risulta allo stato privo di un titolo edilizio che lo legittimi.
Quanto infine al riproposto motivo di violazione dell’art. 10 bis della l.241/90 il Collegio sulla scorta anche della giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. IV, n. 4828/07) ritiene che non è compatibile con l’istituto della segnalazione certificata di inizio attività l’onere del preavviso di diniego, tenuto conto della brevità del termine entro cui l’amministrazione deve provvedere né essendo possibile determinare la sospensione del termini stessi.
Del pari appare all’evidenza infondato il motivo che fa riferimento al difetto di motivazione per non essersi il Comune confrontato con i pareri forniti da altre amministrazioni. Tali pareri infatti non hanno alcuna incidenza con la questione fondamentale, quella cioè di accertare la necessità o meno del permesso di costruire sulla base della valutazione delle caratteristiche del manufatto, trattandosi di valutazioni di esclusiva competenza dell’amministrazione comunale, sulla quale poco o nulla possono incidere pareri di altre amministrazioni, finalizzati alla cura di interessi diversi da quelli curati dal Comune.
Parimenti non hanno alcun rilievo presunte o eventuali altre determinazioni assunte dal Comune per casi analoghi atteso che esse, se è vero quanto deduce l’appellante, appaiono illegittime nella misura in cui consentirebbero di prescindere dal rilascio del permesso di costruire e pertanto “non possono costituire, come giustamente osserva il primo giudice, parametro per una valutazione sulla legittimità della successiva azione amministrativa”.
Le censure ricomprese nel primo motivo di appello, pertanto, vanno rigettate perché infondate.
Con il secondo motivo di appello viene contestata la decisione del Tribunale, con la quale è stato dichiarato improcedibile il ricorso per motivi aggiunti, con il quale era stato impugnato il provvedimento comunale n. 135661 del 14.4.2016, con cui era stata annullata la segnalazione certificata di inizio attività n. 429876, presentata in data 24.12.2015.
Va ricordato che il TAR ha pronunciato l’improcedibilità del ricorso aggiuntivo per sopravvenuta carenza d’interesse asserendo che: “Il rigetto del ricorso introduttivo determina il definitivo venir meno della segnalazione certificata di inizio attività n. 429876 presentata “in data 24.12.2015”…. Ne consegue la nullità per impossibilità dell’oggetto del provvedimento n. 135661 del 14.4.2016 con cui l’amministrazione, a seguito del provvedimento cautelare del TAR, era nuovamente intervenuta sulla menzionata segnalazione certificata di inizio attività 429876 del 24.12.15, facendo uso dei poteri di cui all’art. 21 nonies della L. 241/90”.
Osserva l’appellante che il Comune di Catania, ben sei mesi dopo l’adozione dell’atto di annullamento d’ufficio del 14.4.2016, con nota del 2.9.2016 ha comunicato l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela della SCIA prot. 429876, presentata dall’appellante in data 24.12.2015. A tale comunicazione, tuttavia, a tutt’oggi non avrebbe fatto seguito alcun provvedimento conclusivo.
Secondo l’appellante l’avvio del procedimento di annullamento in autotutela della SCIA prot. 429876 del 24.12.15 avrebbe comportato l’automatica caducazione del precedente annullamento d’ufficio.
Le tesi dell’appellante non possono essere condivise, mentre meritavano conferma le conclusioni cui è pervenuto il TAR, che, in parole semplici, possono essere così riassunte: una volta che è stata acclarata dal Tribunale la legittimità del rigetto della segnalazione certificata di inizio attività n. 429876 del 24.12.2015, l’atto di annullamento di tale segnalazione certificata è privo di oggetto in quanto la medesima è stata rigettata con il provvedimento impugnato con il ricorso principale, che il TAR ha ritenuto legittimo.
La circostanza quindi che con nota del 2.9.16 sia stato comunicato l’avvio di un procedimento di annullamento della stessa SCIA n. 429876 del 24.12.2015 non può esercitare nessuna influenza sul provvedimento di annullamento d’ufficio del 14.4.16, né può mettere in discussione la circostanza che il rigetto della dichiarazione certificata di attività presentata il 24.12.2015 sia stato dichiarato legittimo.
Infatti, perché l’annullamento d’ufficio, che costituisce l’oggetto del ricorso aggiuntivo, possa dirsi “caducato” sarebbe stato necessario non già il solo avvio di un procedimento di annullamento in autotutela, che come ammette la stessa appellante non ha avuto mai conclusione, ma sarebbe stato necessario un provvedimento di autotutela che espressamente ponesse nel nulla il precedente annullamento d’ufficio.
La nota del 2.9.16 va qualificata, infatti, un atto inutile e inidoneo a produrre un qualunque effetto.
Le critiche dell’appellante vanno, quindi, disattese perché infondate.
Questo Consiglio, pur rigettando tutti i motivi d’appello, ritiene necessario precisare, come peraltro ha già fatto il Giudice di primo grado, che nessuna posizione può prendersi al momento in merito all’eventualità che l’appellante richieda regolare permesso di costruzione per la realizzazione del chiosco sull’area demaniale concessa che, ad avviso del Comune, si troverebbe nel centro storico di Catania e sarebbe occupata al momento da una strada comunale. L’avere infatti qualificato il manufatto come inidoneo a essere assentito con una SCIA non esclude né include che possa essere assentito con permesso di costruzione trattandosi di questione affidata alla valutazione degli organi comunali, se e quando ne saranno investiti.
Tanto precisato il Collegio ritiene conclusivamente che l’appello vada rigettato perché infondato con pieno conferma della sentenza impugnata.
Le caratteristiche della vicenda consentono la totale compensazione tra le parti delle spese di ambedue i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Siciliana, in sede giurisdizionale, definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa le spese di ambedue i gradi di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Palermo nella camera di consiglio del giorno 14 marzo 2018 con l'intervento dei magistrati:
Carlo Deodato, Presidente
Nicola Gaviano, Consigliere
Carlo Modica de Mohac, Consigliere
Giuseppe Barone, Consigliere, Estensore
Giuseppe Verde, Consigliere