In tema di responsabilità civile , affinché la violazione di una norma possa costituire causa o concausa di un evento, é necessario che essa sia preordinata ad impedirlo; in caso contrario la condotta trasgressiva del contravventore assume autonoma rilevanza giuridica, non però costitutiva di un rapporto di causalità con l'evento, in relazione al quale diviene un mero antecedente storico occasionale.
(Nella specie, relativa ad un sinistro mortale occorso ad un soggetto che, alla guida della sua auto, era stato trafitto da una sbarra di ferro posta in corrispondenza dell'accesso all'argine di un fiume, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto sussistente la responsabilità della p.a. che aveva la custodia, cura e manutenzione dell'argine e degli impianti e dispositivi ad essi inerenti, essendo stato accertato sia che il divieto di transito era stato apposto per impedire di accedere alle sommità arginali del fiume utilizzandole come strada e non per impedire di avvicinarsi alla sbarra, posta dopo il cartello e priva di un sistema di fissaggio che, se adottato, sarebbe stato idoneo ad impedire l'evento, sia che la mobilità di tale sbarra era stata la causa esclusiva dello sfondamento del parabrezza dell'auto, sicché la trasgressione del conducente al divieto di transito era degradata a mera occasione dell'evento).
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PREDEN Roberto - Presidente -
Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere -
Dott. CHIARINI M. Margherita - rel. Consigliere -
Dott. SPIRITO Angelo - Consigliere -
Dott. AMBROSIO Annamaria - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 1309-2006 proposto da:
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI in persona del
ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per legge;
- ricorrente -
contro
S.M. (OMISSIS), S.C. (OMISSIS), S.V. (OMISSIS);
- intimati -
sul ricorso 3808-2006 proposto da:
S.M., S.G., S.V., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA TACITO 10, presso lo studio dell'avvocato DANTE ENRICO, che li rappresenta e difende unitamente all'avvocato BENUSSI CARLO giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;
- ricorrenti -
contro
MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI;
- intimati -
avverso la sentenza n. 2876/2004 della CORTE D'APPELLO di MILANO, 2^ SEZIONE CIVILE, emessa il 23/10/2004, depositata il 09/11/2004, R.G.N. 2876/2004;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/03/2010 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;
udito l'Avvocato ENRICO DANTE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo che ha concluso per il rigetto di entrambi i ricorsi.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione del dicembre 1994 S.M., G. e V. convenivano dinanzi al Tribunale di Milano il Ministero dei LL.PP. chiedendone la condanna al risarcimento dei danni per la morte del padre So.Gi. che, alle cinque e trenta del mattino del (OMISSIS), mentre percorreva, alla guida della sua auto, la strada che corre sull'argine demaniale che costeggia il (OMISSIS), all'altezza della frazione (OMISSIS) era stato trafitto al torace da una sbarra di ferro posta in corrispondenza dell'accesso all'argine, obliqua rispetto alla linea stradale, priva di chiusura e quindi svincolata da una posizione di sicurezza, la cui apposizione incombeva sul Magistrato del (OMISSIS) che aveva la custodia, cura e manutenzione dell'argine e degli impianti e dispositivi ad essi inerenti.
Il convenuto declinava ogni responsabilità perchè la sbarra costituiva mezzo di interdizione segnalato da cartelli di divieto di accesso e transenne posti a 15 metri di distanza visibili sia per le caratteristiche della strada sia per l'ora limpida della mattina in cui era avvenuto l'incidente - al transito sulla strada di servizio per i soggetti non autorizzati ai sensi del R.D. n. 523 del 1904, art. 59 come il So., che soltanto in precedenza aveva ottenuto permessi saltuari di accesso per estrarre inerti dal fiume. Escludeva quindi sia l'insidia, sia la pericolosità della sbarra, sia il nesso di causalità con l'incidente, da attribuire al comportamento colposo della vittima.
Il Tribunale accoglieva la domanda.
La Corte di appello di Milano, con sentenza del 9 novembre 2004, ribadiva che secondo gli accertamenti effettuati la sbarra, posizionata obliquamente rispetto alla strada ed invadente la medesima subito dopo una curva destrorsa per la direzione di marcia del So., non era visibile, ed era priva di serrature, chiavistelli o fori per chiuderla con lucchetto onde evitare che chiunque potesse aprirla e lasciarla aperta finchè non intervenisse la P.A. e di segnalazione di tale mancanza di meccanismo di chiusura e di fissazione della posizione di apertura - essendo ad altro fine apposto il divieto di accesso alla strada - e perciò l'auto del So. si era scontrata frontalmente con la sbarra che era penetrata nell'abitacolo attraverso il parabrezza e aveva trapassato anche la cassa toracica del predetto, fuoriuscendo poi dai finestrino laterale posteriore sinistro. Conseguentemente affermava fa responsabilità dell'amministrazione sia ai sensi dell'art. 2051 cod. civ. per inosservanza dell'obbligo di custodire la sbarra, apposta dalla stessa, in modo da impedirne l'instabilità in posizione di apertura e chiusura, divenendo di conseguenza pericolosa in sè, ed in relazione al quale stato il comportamento del So. non configurava il caso fortuito, sia ai sensi dell'art. 2043 cod. civ. poichè attese l'ora solare - 5,30 della mattina alla fine di agosto - al momento dell'incidente e la posizione della, sbarra quasi parallela alla strada, essa non era visibile, in particolare per chi guidava affrontando la curva a destra prima della sbarra, perchè l'auto tendeva a spostarsi al centro strada, nè era prevedibile il movimento incontrollato rotatorio del manufatto, con conseguente configurabilità dell'insidia, escludente qualsiasi concorso di colpa della vittima. Accoglieva invece in parte l'appello dell'amministrazione sul quantum del danno patrimoniale subito dai figli del So. per mancanza di prova di destinazione del suo reddito totalmente ad essi, neppure tutti conviventi con lui all'epoca dell'incidente, attesa anche l'età degli stessi che induceva ad escludere che fossero sprovvisti di reddito, ed infatti risultava che due di loro partecipavano all'impresa paterna percependo un proprio reddito. Peraltro la morte del So. aveva determinato un calo di introiti, stimabile equitativamente in L. 80 milioni annui, considerando la compensazione con l'accrescimento dell'intera impresa ai figli.
Ricorre in via principale il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti ed in via incidentale S.M., G. e V. che resistono altresì al ricorso principale ed hanno depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Ai sensi dell'art. 335 cod. proc. civ. i ricorsi vanno riuniti.
1.- Con un unico motivo il Ministero deduce: "Violazione degli artt. 40 e 45 cod. pen., artt. 1227, 2043 e 2051 cod. civ.. Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5".
A norma del R.D. n. 523 del 1904, art. 59 era stato interdetto il transito all'argine del fiume da un cartello posto a 15 metri prima della sbarra, ma il So. non aveva rispettato il divieto e perciò l'evento - era da ascrivere alla sua condotta ai sensi degli artt. 40 e 45 c.p. che aveva interrotto il nesso di causalità, da valutare ai sensi dell'art. 1227 c.c.. Infatti se sul piano materiale è ipotizzabile il concorso di causa dell'amministrazione per non aver fissato la sbarra, sul piano giuridico l'evento è stato determinato dalla violazione da parte del So. del divieto di transito e quindi la P.A. non aveva l'obbligo di segnalare la pericolosità della sbarra avendo apposto prima di essa il cartello di divieto di transito. Inoltre se il So. avesse tenuto una condotta di guida più accorta si sarebbe avveduto della sbarra.
Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha correttamente applicato il principio secondo il quale affinchè la violazione di una norma possa costituire causa o concausa di un evento è necessario che essa sia preordinata ad impedirlo, diversamente assumendo la condotta trasgressiva del contravventore autonoma rilevanza giuridica, ma non costitutiva di un rapporto di causalità con l'evento, in relazione al quale essa diviene un mero antecedente ..." storico occasionale.
Infatti da un lato la Corte di merito ha accertato che il divieto di transito è stato apposto per impedire di accedere alle sommità arginali del fiume utilizzandole come strada ( R.D. n. 523 del 1904, art. 59, comma 2) e non per impedire di avvicinarsi alla sbarra che seguiva al cartello, apposta dalla P.A. senza dotarla di un sistema di fissaggio in apertura ed in chiusura, che, come evidenziato nella narrativa della sentenza, se adottato sarebbe stato idoneo ad impedire l'evento(Cass. 427 9/2008 e 20317/2005); dall'altro detta Corte ha accertato che la mobilità della sbarra, neppure pienamente visibile, è stata la causa esclusiva dello sfondamento del parabrezza dell'auto condotta dal So. trapassandone poi il torace, si che ha correttamente ritenuto che la trasgressione da parte di costui del divieto di transito è degradata a mera occasione di tale evento, privo di efficienza causale del medesimo.
Pertanto la censura va respinta.
2.- Con il ricorso incidentale i So. deducono: "Violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2051, 2056 e 1226 c.c.; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in ordine alla quantificazione del danno".
La valutazione equitativa del danno patrimoniale in f lire 80 milioni annui di reddito medio perso a causa della morte del titolare della impresa di escavazione e trasporto dei materiali era immotivata e inattendibile, mentre invece doveva esser adottato il criterio tabellare adottato dal primo giudice e tenersi conto dell'aspettativa dei figli di potere anche beneficiare dei risparmi del genitore.
La censura è inammissibile perchè volta a sostenere una diversa e più appagante valutazione di tale voce di danno, la cui liquidazione è stata esaurientemente motivata con argomentazioni immuni da vizi giuridici adottando il principio della regolarità causale.
3.- Concludendo i ricorsi vanno respinti. Si compensano le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, il 23 marzo 2010.
Depositato in Cancelleria il 9 giugno 2010