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L'art. 52 del d.lgs. 165/2001, contenente la disciplina delle mansioni nel pubblico impiego, recita testualmente:

1. Il prestatore di lavoro deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o alle mansioni considerate equivalenti nell'ambito della classificazione professionale prevista dai contratti collettivi, ovvero a quelle corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive.

L'esercizio di fatto di mansioni non corrispondenti alla qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore o dell'assegnazione di incarichi di direzione.

2. Per obiettive esigenze di servizio il prestatore di lavoro può essere adibito a mansioni proprie della qualifica immediatamente superiore:

a) nel caso di vacanza di posto in organico, per non più di sei mesi, prorogabili fino a dodici qualora siano state avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti come previsto al comma 4;

b) nel caso di sostituzione di altro dipendente assente con diritto alla conservazione del posto, con esclusione dell'assenza per ferie, per la durata dell'assenza.

3. Si considera svolgimento di mansioni superiori, ai fini del presente articolo, soltanto l'attribuzione in modo prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti propri di dette mansioni.

4. Nei casi di cui al comma 2, per il periodo di effettiva prestazione, il lavoratore ha diritto al trattamento previsto per la qualifica superiore. Qualora l'utilizzazione del dipendente sia disposta per sopperire a vacanze dei posti in organico, immediatamente, e comunque nel termine massimo di novanta giorni dalla data in cui il dipendente è assegnato alle predette mansioni, devono essere avviate le procedure per la copertura dei posti vacanti.

5. Al di fuori delle ipotesi di cui al comma 2, è nulla l'assegnazione del lavoratore a mansioni proprie di una qualifica superiore, ma al lavoratore è corrisposta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore. Il dirigente che ha disposto l'assegnazione risponde personalmente del maggior onere conseguente, se ha agito con dolo o colpa grave.

6. Le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita. I medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4. Fino a tale data, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore.

Dalla norma in esame si evince un sostanziale avvicinamento al modello del lavoro privato, attribuendosi, infatti, validità giuridica allo svolgimento delle mansioni superiori anche nel lavoro alle dipendenze della p.a.

La norma si distingue, tuttavia, per diversi profili dal modello privatistico.

Andando, infatti, a sintetizzare la disciplina delle mansioni superiori va evidenziato:

A differenza che nel lavoro privato, l'assegnazione a mansioni superiori nel pubblico impiego è ancorata a cause giustificatrici specifiche: le mansioni superiori superiori possono essere assegnate al dipendente pubblico, in presenza di obiettive esigenze di servizio, in due casi tipizzati, costituiti dalla vacanza del posto in organico o dalla necessità di sostituire il dipendente assente con diritto alla conservazione del posto.

Per Giurisprudenza pacifica l'attribuzione delle mansioni deve essere, piena, così come previsto dal terzo comma dell'art. 52 il quale prevede proprio l'attribuzione in modo prevalente dei compiti propri delle mansioni superiori, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale.

L'assegnazione deve avere durata limitata: sei mesi, prorogabili fino a dodici, in caso di vacanza di organico, periodo dell'assenza del dipendente sostituito e comunque non produce il diritto alla qualifica superiore ma solo al relativo trattamento per il periodo di effettiva prestazione: ciò a seguito dell'abrogazione, disposta dall'art. 15 del d.lgs. 29 ottobre 1998 n. 387 (il c.d. decreto correttivo) della disposizione dell'art. 56 del d.lgs. 29/1993 che escludeva, insieme con il diritto alla qualifica, anche quello alle differenze retributive.

In concreto la Giurisprudenza della Suprema Corte e del Consiglio di Stato hanno ricostruito la materia nei termini che seguono.

Nei confronti dei provvedimenti di inquadramento il pubblico dipendente non vanta una posizione di diritto soggettivo, bensì di interesse legittimo, atteso che i detti provvedimenti costituiscono espressione di un potere autoritativo della p.a., che non si riducono a mero adempimento di un obbligo posto a tutela di posizioni soggettive già definite, ma che sono volti a costituire lo "status" del dipendente stesso (Consiglio Stato sez. IV, 06 aprile 2004, n. 1847).

L'inquadramento provvisorio di un dipendente (nella specie, impiegato di una Usl), in attesa di procedere a quello definitivo, è da considerarsi atto autoritativo a tutti gli effetti, in quanto in grado di incidere immediatamente sulla sfera giuridica del destinatario, il quale è pertanto tenuto ad impugnarlo immediatamente ove abbia interesse alla sua contestazione (Consiglio Stato , sez. V, 22 marzo 1999, n. 308).

È legittimo l'annullamento d'ufficio in via di autotutela degli atti illegittimi d'inquadramento di pubblici dipendenti, specialmente se in posizioni apicali, in quanto in tali casi, stante l'indisponibilità della materia - in cui il detto annullamento più che disposto va dichiarato - è del tutto implicito l'interesse pubblico alla copertura dei predetti posti soltanto nei modi stabiliti dalla legge, alla cessazione di un maggior esborso continuativo di denaro ed al corretto assetto ed al buon andamento dell'apparato amministrativo (Cons.giust.amm. Sicilia, sez. giurisd., 13 ottobre 1999, n. 447).

Le mansioni svolte da un dipendente pubblico superiori a quelle dovute in base al provvedimento di nomina o di inquadramento sono irrilevanti ai fini di progressione di carriera (Consiglio Stato , sez. V, 15 settembre 1999, n. 1076).

Solo a decorrere dall'entrata in vigore del d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387 può essere riconosciuto con carattere di generalità il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore (Consiglio Stato a. plen., 28 gennaio 2000, n. 10).

Rispetto alle conseguenze che l'art. 2103 c.c. annette all'assegnazione del lavoratore a mansioni superiori, risulta incompatibile con l'ordinamento del pubblico impiego sinora in vigore la sola c.d. "promozione automatica", ma non il trattamento economico corrispondente all'attività svolta che, in quanto ancorato alla preposizione del dipendente ai compiti esercitati, deriva da un'attività direttamente imputabile all'amministrazione e quindi connessa all'ordinario funzionamento dell'organizzazione (Consiglio Stato , sez. IV, 16 marzo 1999, n. 281).

In materia di pubblico impiego, ai sensi dell'art. 56, comma 6, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29 (nel testo sostituito dall'art. 25 d.lg. 31 marzo 1998 n. 80, così come successivamente modificato dall'art. 15 d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387) deve essere retribuito l'espletamento di mansioni superiori alla qualifica, in ossequio al principio della retribuzione proporzionata e sufficiente ex art. 36 cost. (come affermato, in particolare con riferimento alla disciplina del personale sanitario, dalla Corte cost. con le sentt. n. 57 del 1989 n. 296 del 1990 e n. 101 del 1995), applicabile anche al pubblico impiego senza dovere necessariamente tradursi in un rigido automatismo di spettanza al pubblico dipendente del trattamento economico esattamente corrispondente alle mansioni superiori espletate (come precisato dalla sent. Corte cost. n. 115 del 2003), ma ben potendo risultare diversamente osservato il precetto costituzionale mediante la corresponsione di un compenso aggiuntivo rispetto alla qualifica di appartenenza (Corte cost. n. 273 del 1997); peraltro, in nessun caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto ad avanzamenti automatici nell'inquadramento professionale del lavoratore, secondo un principio che, pur se datato e destinato ad essere superato dalla normativa contrattuale autorizzata a prevedere fattispecie di "avanzamenti automatici" (art. 52, comma 6, t.u. 30 marzo 2001 n. 165) trova non di meno giustificazione nelle perduranti peculiarità (riconosciute, seppure con riferimento alla diversa questione della parimenti perdurante disciplina differenziata in materia di crediti di lavoro, dalla sent. Corte cost. n. 82 del 2003) del rapporto di lavoro di pubblico impiego "privatizzato" (Cassazione civile , sez. lav., 25 ottobre 2003, n. 16078).

In materia di pubblico impiego, ai sensi dell'art. 56, comma 3, d.lg. 3 febbraio 1993 n. 29 può considerarsi svolgimento di mansioni superiori "soltanto l'attribuzione in maniera prevalente, sotto il profilo qualitativo, quantitativo e temporale, dei compiti di dette mansioni". Ne consegue che a tal fine il giudice di merito deve procedere a una penetrante ricognizione di tutto il contenuto delle mansioni svolte e all'esame delle declaratorie generali delle categorie di inquadramento coinvolte nella controversia e dei profili professionali pertinenti. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che, senza adeguata motivazione, aveva riconosciuto in favore di una dipendente di un'azienda sanitaria lo svolgimento di mansioni proprie della superiore categoria C - ex sesto livello - in relazione allo svolgimento di compiti di informazione agli utenti oltre che di attività di sportello) (Cassazione civile , sez. lav., 25 ottobre 2004, n. 20692).

La disciplina della materia dello svolgimento delle mansioni superiori nell'ambito della c.d. contrattualizzazione o privatizzazione dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni, quale risultante dall'art. 56 del d.lg. n. 29 del 1993, nel testo modificato dall'art. 25 del d.lg. n. 80 del 1998 e, quanto al comma 6, dall'art. 15 del d.lg. n. 387 del 1998, ed ora riprodotto nell'art. 52 del d.lg. n. 165 del 2001, ha riconfermato il principio secondo cui l'esercizio di fatto di mansioni diverse da quelle della qualifica di appartenenza non ha effetto ai fini dell'inquadramento del lavoratore. Peraltro l'art. 56, oltre a indicare i casi in cui è legittima la temporanea assegnazione a mansioni superiori, specificandone presupposti, limiti temporali e trattamento spettante in tal caso al lavoratore, laddove nel comma 5 prevede l'ipotesi di assegnazione "a mansioni proprie di una qualifica superiore" ed in relazione ad essa stabilisce, da un lato, la nullità dell'assegnazione, e dall'altro riconosce al lavoratore il diritto alla differenza di trattamento economico rispetto alla qualifica superiore, non può essere inteso nel senso che detta espressione, quanto al riferimento alla "qualifica superiore", abbia contenuto equivalente a quella di "qualifica immediatamente superiore" che il legislatore usa nel comma 2, per individuare i casi nei quali è legittima l'assegnazione alle mansioni immediatamente superiori. Una diversa interpretazione, oltre a non essere giustificata dalla lettera del comma 5, sarebbe anche contraria alla sua ratio, che è di assicurare comunque al lavoratore una retribuzione proporzionata alla qualità del lavoro prestato, in ossequio al principio di cui all'art. 36 cost. (Sulla base di tale principio la S.C. ha ritenuto infondata, con riferimento al relativo motivo di ricorso, la doglianza con cui si lamentava che il giudice di merito avesse parametrato la pretesa di una lavoratrice dipendente di una Asl alla retribuzione, corrispondente allo svolgimento di mansioni superiori al di fuori dei casi consentiti, a quella relativa alle mansioni, effettivamente svolte, di una qualifica superiore di due livelli a quella di inquadramento) (Cassazione civile , sez. lav., 25 ottobre 2004, n. 20692).

Nel pubblico impiego privatizzato il divieto di corresponsione della retribuzione corrispondente alle mansioni superiori, stabilito dal comma 6 dell'art. 56 del d. lgs n. 29 del 1993 come modificato dall'art. 25 del d.lg. n. 80 del 1998, è stato soppresso dall'art. 15 del d.lg. n. 387 del 1998 con efficacia retroattiva, atteso che la modifica del comma 6 ultimo periodo disposta dalla nuova norma è una disposizione di carattere transitorio, non essendo formulata in termini atemporali, come avviene per le norme ordinarie, ma con riferimento alla data ultima di applicazione della norma stessa e quindi in modo idoneo a incidere sulla regolamentazione applicabile all'intero periodo transitorio. La portata retroattiva della disposizione risulta peraltro conforme alla giurisprudenza della Corte costituzionale, che ha ritenuto l'applicabilità anche nel pubblico impiego dell'art. 36 cost., nella parte in cui attribuisce al lavoratore il diritto a una retribuzione proporzionale alla quantità e qualità del lavoro prestato, nonché alla conseguente intenzione del legislatore di rimuovere con la disposizione correttiva una norma in contrasto con i principi costituzionali (Cassazione civile, sez. lav., 08 gennaio 2004, n. 91).

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