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L'art. 56 t.u. n. 3/1957 (Comando presso altra amministrazione) recita testualmente:

L'impiegato può essere comandato a prestare servizio presso altra amministrazione statale o presso enti pubblici, esclusi quelli sottoposti alla vigilanza dell'amministrazione cui l'impiegato stesso appartiene.

Il comando è disposto, per tempo determinato e in via eccezionale, per riconosciute esigenze di servizio o quando sia richiesta una speciale competenza.

Al comando si provvede con decreto dei ministri competenti di concerto con il ministro per il Tesoro, sentiti l'impiegato ed il Consiglio di amministrazione.

Per l'impiegato con qualifica non inferiore a direttore generale, si provvede con decreto del presidente del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio dei ministri, su proposta dei ministri competenti di concerto con quello per il Tesoro.

É vietata l'assegnazione anche temporanea di impiegati ad uffici diversi da quelli per i quali sono istituiti i ruoli cui essi appartengono.

La nozione di comando di cui all'art. 56 t.u.n. 3/1957, descrive il fenomeno per cui il pubblico impiegato, titolare di un posto di ruolo presso una Pubblica Amministrazione, viene temporaneamente a prestare servizio presso altra Amministrazione o presso altro ente pubblico e importa, da un lato, l'obbligo di prestare servizio presso un ufficio od un ente diverso da quello di appartenenza e, dall'altro, la dispensa dagli obblighi di servizio verso l'Amministrazione di origine.

Poiché l'art. 56 ultimo comma del t.u. citato vieta l'assegnazione anche temporanea di impiegati ad uffici diversi da quelli di appartenenza, il collocamento nella posizione di comando va considerato un istituto di carattere eccezionale. Infatti, per Giurisprudenza pacifica la possibilità di disporre il comando di un impiegato presso altra Amministrazione statale o presso enti pubblici, è prevista nell'interesse dell'Amministrazione, la quale deve ricorrervi in via eccezionale e di fronte ad esigenze che ne giustifichino l'adozione. Tali esigenze temporanee ed eccezionali giustificano la concessione al dipendente della medesima posizione giuridica, malgrado la modificazione che si produce nell'espletamento della prestazione del servizio, nonché l'onere della spesa a carico dell'Amministrazione di appartenenza.

Distinta dal comando è la fattispecie della utilizzazione temporanea del dipendente pubblico presso un ufficio diverso da quello che costituisce la sua sede di servizio, a volte denominato distacco nella giurisprudenza amministrativa.

Trattasi di istituto in realtà ignoto alla legislazione del pubblico impiego che tuttavia nella prassi aveva ed ha ancora una certa diffusione e si distingue dal comando proprio perché l'impiegato non viene assegnato ad una pubblica amministrazione diversa da quella di appartenenza, ma – temporaneamente – ad un ufficio, diverso da quello nel quale è formalmente incardinato, ma comunque dell'amministrazione datrice di lavoro. Non si tratta pertanto, neppure di trasferimento il quale consiste, invece, nel mutamento definitivo del luogo di lavoro.

La giurisprudenza formatasi nel settore del lavoro privato distingue, poi, il distacco dalla trasferta per il fatto che esso è disposto pur sempre in accoglimento di una istanza dell'impiegato, mentre la trasferta – che comporta anch'essa una assegnazione meramente temporanea del dipendente ad una sede diversa da quella abituale (Cass. 14.8.1998 n. 8004) – è disposta nell'interesse e su disposizione unilaterale dell'amministrazione datrice di lavoro (Cass. 5.7.2002 n. 9744).

Nella prassi, la tendenza è quella di riconoscere che, l'assegnazione dell'impiegato nell'ufficio diverso da quello in cui egli è formalmente incardinato, sia pure formalmente qualificata come utilizzazione temporanea, debba considerarsi come un vero e proprio trasferimento, con conseguente illegittimità del provvedimento di restituzione all'ufficio precedentemente occupato.

La Giurisprudenza ha così ricostruito le singole fattispecie:

Nell'ambito del rapporto di lavoro subordinato, il "comando" del dipendente pubblico si differenzia dal "distacco" del dipendente privato per la natura provvedimentale dell'atto che dispone il comando, adottato dal soggetto nella cui organizzazione il dipendente viene inserito, e non dal suo originario datore di lavoro, per cui, diversamente dal distacco, il comando non realizza un interesse del datore di lavoro ma dell'Amministrazione che lo dispone, e non costituisce un atto organizzativo riconducibile al datore di lavoro; ne consegue che, laddove nel caso del distacco permangono in capo al datore di lavoro distaccante il potere direttivo e di determinare la cessazione del distacco stesso, e pertanto, in caso di dipendente adibito a mansioni superiori presso il distaccatario, in capo al distaccante si verificheranno le conseguenze di cui all'art. 2103 c.c., nell'ipotesi del comando, il dipendente pubblico che si trovi a svolgere mansioni superiori a quelle originarie presso l'amministrazione ove è comandato non ha diritto all'inquadramento nella qualifica superiore presso il proprio datore di lavoro, nè al pagamento delle relative differenze retributive. (Nella specie, la S.C. ha negato il diritto all'inquadramento in una qualifica superiore al dipendente delle Ferrovie dello Stato, distaccato presso un Ministero ed ivi adibito a mansioni superiori, con provvedimento adottato prima del 5 febbraio 1988 - data di privatizzazione cd. sostanziale del rapporto di lavoro, a seguito della stipulazione del primo contratto collettivo, ma spiegante i suoi effetti anche successivamente, in quanto il provvedimento di "comando" non perdeva i suoi effetti a seguito della privatizzazione e continuava a determinare una situazione che escludeva il potere del datore di lavoro di disporne la cessazione) (Cassazione civile , sez. lav., 17 febbraio 2004, n. 3097).

L'indennità di missione è dovuta soltanto quando l'impiegato pubblico sia inviato isolatamente a prestare l'ordinario servizio fuori della sua sede abituale e cioè quando tale spostamento costituisca una temporanea misura organizzativa, intesa a modificare eccezionalmente il normale luogo di effettuazione della prestazione lavorativa. Conseguentemente, detta indennità non può essere corrisposta a favore del dipendente comandato a prestare abituale ed ordinario servizio presso gli uffici della regione in forza di appositi provvedimenti adottati sulla scorta dell'art. 39 l. reg. Puglia 13 marzo 1980 n. 16 (Consiglio Stato , sez. IV, 29 settembre 2003, n. 5542).

La posizione di comando di un pubblico dipendente, pur non comportando alcuna alterazione del rapporto di impiego, ne implica una rilevante modificazione in senso oggettivo, giacché l'impiegato viene destinato a prestare servizio, in via ordinaria e abituale, presso un'amministrazione diversa da quella di appartenenza. In particolare, fermo restando il c.d. rapporto organico (che continua ad intercorrere tra il dipendente e l'ente di appartenenza o di titolarità), si modifica il c.d. rapporto di servizio, atteso che il dipendente è inserito, sia sotto il profilo organizzativo - funzionale, sia sotto quello gerarchico e disciplinare, nella nuova amministrazione di destinazione, a favore della quale egli presta esclusivamente la sua opera. Caratteristiche peculiari della posizione di comando sono la temporaneità della destinazione e, dunque, la sua reversibilità, con la conseguenza che essa non può essere confusa con l'istituto del trasferimento (che postula invece la definitiva assegnazione del dipendente ad un determinato ufficio); ciò implica che alla posizione di comando del dipendente presso una nuova amministrazione non si accompagna la corrispondente soppressione del posto in organico presso l'amministrazione di provenienza: è stato così affermato che il comando comporta lo spostamento del pubblico dipendente per un periodo non breve in un'altra località e presso altra amministrazione che ne diventa la ordinaria sede di lavoro (C.d.S., sez. IV, 27 aprile 1995, n. 271).

La posizione di comando differisce poi ontologicamente dall'invio in missione che, com'è noto, si caratterizza per il fatto che il dipendente è chiamato a svolgere, sempre in favore della sua amministrazione di appartenenza, la ordinaria prestazione lavorativa per un brevissimo arco di tempo in una sede diversa da quella abituale di servizio (appartenente pur sempre alla stessa amministrazione): proprio tale peculiarità giustifica l'erogazione della c.d. indennità di missione volta a compensare la maggiore onerosità della prestazione dovuta allo stesso datore di lavoro. Al riguardo la giurisprudenza ha chiarito (C.d.S., sez. V, 21 ottobre 1997, n. 1165) che l'indennità di missione è dovuta soltanto quando l'impiegato sia inviato isolatamente a prestare l'ordinario servizio fuori della sua sede abituale e ciò quando tale spostamento costituisca una temporanea misura organizzativa, intesa a modificare eccezionalmente il normale luogo di effettuazione della prestazione lavorativa. (Consiglio Stato , sez. IV, 29 settembre 2003, n. 5542).

È legittimo, in quanto di natura ampiamente discrezionale, il provvedimento con il quale l'amministrazione dispone la cessazione del dipendente dalla posizione di "comando" per sopraggiunte esigenze di servizio (Consiglio Stato, sez. VI, 08 gennaio 2003, n. 2).

Se è vero che il comando è finalizzato al perseguimento dell'interesse dell'amministrazione presso cui il dipendente comandato va a prestare servizio e che quindi rientra nei poteri di quest' ultima di attivarsi ai fini della cessazione degli effetti di detto provvedimento, è vero altresì che il dipendente comandato presso altra amministrazione non acquisisce un nuovo rapporto di impiego né modifica quello originario restando sottoposto alla pregressa regolamentazione giuridica dell'ente di provenienza con l'unica variante della prestazione di fatto del servizio a favore di una amministrazione diversa, sostituendosi, quest' ultima, solo nell'esercizio dei poteri di supremazia gerarchica. Pertanto unico soggetto legittimato ad intervenire su quel rapporto, ad esempio, con un provvedimento di revoca del comando, è l'ente rispetto al quale permane il rapporto di dipendenza organica, mentre il potere dell'ente che si è giovato dell'attività del personale comandato si concretizza solo nella possibilità di attivarsi perché vengano meno gli effetti dell'originario provvedimento (Consiglio Stato Sez. IV, 30 gennaio 2001, n. 322).

Il distacco non comporta l'istituzione di un nuovo rapporto di impiego con la pubblica amministrazione presso la quale il lavoratore è distaccato, né varia lo stato giuridico del dipendente (C.d. Stato sez. IV 20.12.2002 n. 7243).

E' illegittima la revoca di un distacco disposta non per il sopravvenire di ragioni organizzative, ma per valutazioni attinenti alla legittimità dell'operato del dipendente che possono al più sfociare nell'irrogazione di una sanzione disciplinare (Tribunale di Reggio Calabria 16.2.2004).

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