Par. 1
Regolamento preventivo di giurisdizione
Art. 9
Difetto di giurisdizione
1. Il difetto di giurisdizione e' rilevato in primo grado anche d'ufficio. Nei giudizi di impugnazione e' rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.
Art. 10
Regolamento preventivo di giurisdizione
1. Nel giudizio davanti ai tribunali amministrativi regionali e' ammesso il ricorso per regolamento preventivo di giurisdizione previsto dall'articolo 41 del codice di procedura civile. Si applica il primo comma dell'articolo 367 dello stesso codice. 2. Nel giudizio sospeso possono essere chieste misure cautelari, ma il giudice non puo' disporle se non ritiene sussistente la propria giurisdizione.
Art. 11
Decisione sulle questioni di giurisdizione
1. Il giudice amministrativo, quando declina la propria giurisdizione, indica, se esistente, il giudice nazionale che ne e' fornito. 2. Quando la giurisdizione e' declinata dal giudice amministrativo in favore di altro giudice nazionale o viceversa, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda se il processo e' riproposto innanzi al giudice indicato nella pronuncia che declina la giurisdizione, entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. 3. Quando il giudizio e' tempestivamente riproposto davanti al giudice amministrativo, quest'ultimo, alla prima udienza, puo' sollevare anche d'ufficio il conflitto di giurisdizione. 4. Se in una controversia introdotta davanti ad altro giudice le sezioni unite della Corte di cassazione, investite della questione di giurisdizione, attribuiscono quest'ultima al giudice amministrativo, ferme restando le preclusioni e le decadenze intervenute, sono fatti salvi gli effetti processuali e sostanziali della domanda, se il giudizio e' riproposto dalla parte che vi ha interesse nel termine di tre mesi dalla pubblicazione della decisione delle sezioni unite. 5. Nei giudizi riproposti, il giudice, con riguardo alle preclusioni e decadenze intervenute, puo' concedere la rimessione in termini per errore scusabile ove ne ricorrano i presupposti.
6. Nel giudizio riproposto davanti al giudice amministrativo, le prove raccolte nel processo davanti al giudice privo di giurisdizione possono essere valutate come argomenti di prova. 7. Le misure cautelari perdono la loro efficacia trenta giorni dopo la pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione del giudice che le ha emanate. Le parti possono riproporre le domande cautelari al giudice munito di giurisdizione.
Ai sensi dell'art. 9 del codice del processo amministrativo in primo grado il difetto di giurisdizione è rilevabile anche d'ufficio; nei giudizi di impugnazione è rilevato solo se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla giurisdizione.
Il successivo articolo 10 del codice del processo amministrativo prevede, con espresso rinvio all'articolo 41 del codice di procedura civile, l'applicazione anche al processo amministrativo dello strumento del regolamento preventivo della giurisdizione da proporsi innanzi alle sezioni unite con applicazione delle norme proprie del giudizio di cassazione.
Tale regolamento era stato già previsto dall'art. 30 comma 3 legge TAR oggi abrogato.
La procedura da seguire è quella del richiamato articolo 367del codice di procedura civile.
La domanda di regolamento preventivo non è soggetta a limiti di tempo, potendosi proporre in qualsiasi momento fino a quando la causa non venga discussa e trattenuta per la decisione di merito.
Legittimate a proporre il regolamento di giurisdizione sono tutte le parti in causa ivi compreso l'interveniente, con atto notificato nei confronti di tutti coloro che sono parti in causa nel medesimo procedimento al domicilio eletto.
L'atto deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un avvocato cassazionista munito di procura speciale, e dopo la notifica, deve essere depositato presso la segreteria del tribunale amministrativo.
La sentenza della Cassazione rende incontestabile la giurisdizione, precludendo la riproposizione della questione nello stesso giudizio.
L'art. 11 del codice del processo amministrativo afferma il principio della traslatio iudicii da cui deriva che la domanda giudiziaria proposta innanzi ad un giudice privo di giurisdizione conserva i suoi effetti sostanziali e processuali presso il giudice munito della giurisdizione.
Tale principio, anticipato dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 77 del 2007, è stato esplicitamente affermato dall'articolo 59 della legge n. 69 del 2009, avente portata generale e riferito anche al giudice amministrativo.
Tale norma prevede, altresì, la possibilità che il giudice rimetta in termini per errore scusabile rispetto alle preclusioni e alle decadenze intervenute e l'efficacia delle misure cautelari adottate dal giudice privo della giurisdizione per un tempo non superiore a trenta giorni dalla pubblicazione del provvedimento che dichiara il difetto di giurisdizione.
Nel previdente regime normativo la Giurisprudenza aveva chiarito che
"Il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, in quanto riservato alla giurisdizione del giudice ordinario competente, può essere proseguito dinanzi a quest'ultimo mediante riassunzione a cura della parte interessata, fatti salvi gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta dinanzi al Tar, in applicazione dell'art. 30, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, come emendato dalla sentenza della Corte Costituzionale 12 marzo 2007 n. 77" (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 26 giugno 2009, n. 6244).
"La causa proposta dinanzi ad un giudice privo di giurisdizione va riassunta dalla parte interessata dinanzi al giudice competente, con salvezza degli effetti sostanziali e processuali della domanda, in applicazione dell'art. 30, l. 6 dicembre 1971 n. 1034, come emendato dalla sentenza della C. cost. n. 77 del 12 marzo 2007" (T.A.R. Lazio Roma, sez. III, 06 maggio 2009, n. 4644).
"Gli effetti, sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di giurisdizione si conservano, a seguito di declinatoria di giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di giurisdizione" (Cassazione civile , sez. un., 06 marzo 2009, n. 5451).
"Ai sensi dell'art. 30 l. 6 dicembre 1971 n. 1034, il Consiglio di Stato può sempre conoscere d'ufficio la questione di giurisdizione, se su di essa il tribunale amministrativo regionale non si sia pronunciato espressamente" (Consiglio Stato , sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059).
"Il giudice amministrativo, quando dichiari il proprio difetto di giurisdizione, perché la controversia è devoluta ad altra giurisdizione, oltre a dichiarare a quale giurisdizione sia devoluta la controversia, deve statuire sulla conservazione degli effetti della domanda e fissare un termine per la riassunzione entro cui tale salvezza opera (la decisione precisa che, in mancanza di un intervento legislativo, ai fini della riassunzione va osservato il termine stabilito dall'art. 50 c.p.c) (Consiglio Stato , sez. VI, 13 marzo 2008, n. 1059).
Par. 2
Il regolamento di competenza
Art. 15
Rilievo dell'incompetenza e regolamento preventivo di competenza
1. Il difetto di competenza e' rilevato in primo grado anche d'ufficio. Nei giudizi di impugnazione esso e' rilevato se dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che, in modo implicito o esplicito, ha statuito sulla competenza.
2. Finche' la causa non e' decisa in primo grado, ciascuna parte puo' chiedere al Consiglio di Stato di regolare la competenza. Non rilevano, a tal fine, le pronunce istruttorie o interlocutorie di cui all'articolo 36, comma 1, ne' quelle che respingono l'istanza cautelare senza riferimento espresso alla questione di competenza. Il regolamento e' proposto con istanza notificata alle altre parti e depositata, unitamente a copia degli atti utili al fine del decidere, entro quindici giorni dall'ultima notificazione presso la segreteria del Consiglio di Stato. 3. Il Consiglio di Stato decide in camera di consiglio con ordinanza, con la quale provvede anche sulle spese del regolamento.
La pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza. Al procedimento si applicano i termini di cui all'articolo 55, commi da 5 a 8. 4. La pronuncia del Consiglio di Stato vincola i tribunali amministrativi regionali. Se viene indicato come competente un tribunale diverso da quello adito, il giudizio deve essere riassunto nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza che pronuncia sul regolamento, ovvero entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. 5. Quando e' proposta domanda cautelare il tribunale adito, ove non riconosca la propria competenza ai sensi degli articoli 13 e 14, non decide su tale domanda e, se non ritiene di provvedere ai sensi dell'articolo 16, comma 2, richiede d'ufficio, con ordinanza, il regolamento di competenza, indicando il tribunale che reputa competente. 6. L'ordinanza con cui e' richiesto il regolamento e' immediatamente trasmessa d'ufficio al Consiglio di Stato a cura della segreteria. Della camera di consiglio fissata per regolare la competenza ai sensi del comma 4 e' dato avviso, almeno dieci giorni prima, ai difensori che si siano costituiti davanti al Consiglio di Stato. Fino a due giorni liberi prima e' ammesso il deposito di memorie e documenti e sono sentiti in camera di consiglio i difensori che ne facciano richiesta. 7. Nelle more del procedimento di cui al comma 6, il ricorrente puo' riproporre le istanze cautelari al tribunale amministrativo regionale indicato nell'ordinanza di cui al comma 5 il quale decide in ogni caso sulla domanda cautelare, fermo quanto previsto dal comma 8. 8. Le pronunce sull'istanza cautelare rese dal giudice dichiarato incompetente perdono comunque efficacia dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione dell'ordinanza che regola la competenza. 9. Le parti possono sempre riproporre le istanze cautelari al giudice dichiarato competente. 10. La disciplina dei commi 8 e 9 si applica anche alle pronunce sull'istanza cautelare rese dal giudice privato del potere di decidere il ricorso dall'ordinanza presidenziale di cui all'articolo 47, comma 2.
Art. 16
Regime della competenza
1. La competenza di cui agli articoli 13 e 14 e' inderogabile anche in ordine alle misure cautelari. 2. Il difetto di competenza e' rilevato, anche d'ufficio, con ordinanza che indica il giudice competente. Se, nel termine perentorio di trenta giorni dalla comunicazione di tale ordinanza, la causa e' riassunta davanti al giudice dichiarato competente, il processo segue davanti al nuovo giudice. 3. L'ordinanza con cui il giudice adito dichiara la propria competenza o incompetenza e' impugnabile nel termine di trenta giorni dalla notificazione, ovvero di sessanta giorni dalla sua pubblicazione, con il regolamento di competenza di cui all'articolo 15. Il regolamento puo' essere altresi' richiesto d'ufficio, con ordinanza, dal giudice dinanzi al quale il giudizio e' stato riassunto ai sensi del comma 2; in tale caso si procede ai sensi dell'articolo 15, comma 6. 4. Durante la pendenza del regolamento di competenza, il ricorrente puo' sempre proporre l'istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale indicato nell'ordinanza di cui al comma 2 o in quella di cui all'articolo 15, comma 5, il quale decide in ogni caso sulla domanda cautelare, fermo restando quanto previsto dall'articolo 15, comma 8.
Prima dell'attuale riforma, il regolamento di competenza era disciplinato dall'art. 31 legge TAR, che lo prevedeva come unico strumento a disposizione delle parti per contestare la competenza del Tribunale adito dal ricorrente.
Il legislatore ha, invece, introdotto la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza, stabilendo al primo comma che in primo grado il difetto di competenza è rilevato anche d'ufficio, mentre nei giudizi di impugnazione è rilevabile solo su istanza di parte e deve essere dedotto con specifico motivo avverso il capo della pronuncia impugnata che ha statuito sulla competenza.
Finché la causa non è decisa in primo grado, ciascuna parte può chiedere al Consiglio di Stato di regolare la competenza, anche se sono state emesse pronunce istruttorie o interlocutorie o provvedimenti di rigetto dell'istanza cautelare che non facciano riferimento espresso al rilievo di competenza.
La parte che intenda proporre regolamento di competenza deve notificare apposita istanza alle altre parti e depositarla, unitamente a copia degli atti utili al fine del decidere, entro quindici giorni dall'ultima notificazione presso la segreteria del Consiglio di Stato.
In seguito al deposito dell'istanza, il Consiglio di Stato decide in camera di consiglio con ordinanza, con la quale provvede anche sulle spese del regolamento e tale pronuncia sulle spese conserva efficacia anche dopo la sentenza che definisce il giudizio, salvo diversa statuizione espressa nella sentenza.
La pronuncia resa dal Consiglio di Stato in materia di competenza vincola i tribunali amministrativi regionali e se viene indicato come competente un tribunale diverso da quello adito, il giudizio deve essere riassunto nel termine perentorio di trenta giorni dalla notificazione dell'ordinanza che pronuncia sul regolamento, ovvero entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione.
Se il tribunale non si ritiene competente non può decidere neanche sulla domanda cautelare e se non ritiene di eccepire il difetto di competenza e statuire con ordinanza in merito al giudice competente, richiede d'ufficio, con ordinanza, il regolamento di competenza, indicando il tribunale che reputa competente.
Tale ordinanza è immediatamente trasmessa d'ufficio al Consiglio di Stato a cura della segreteria che dà avviso ai difensori costituiti della camera di consiglio fissata, almeno dieci giorni prima. I difensori delle parti possono presentare memorie e documenti fino a due giorni liberi prima della camera di consiglio e possono richiedere di essere sentiti.
In attesa della pronuncia del Consiglio di Stato sul regolamento di competenza, il ricorrente può riproporre le istanze cautelari al tribunale amministrativo regionale indicato nell'ordinanza del giudice dichiaratosi incompetente, fermo restando che le pronunce sull'istanza cautelare rese dal giudice dichiarato incompetente perdono comunque efficacia dopo trenta giorni dalla data di pubblicazione dell'ordinanza che regola la competenza ma le parti possono sempre riproporre le istanze cautelari al giudice dichiarato competente.
Il successivo articolo 16 del codice del processo amministrativo specifica che la competenza di cui agli articoli 13 e 14 è inderogabile anche in ordine alle misure cautelari.
In particolare è stata introdotta la rilevabilità del difetto di competenza anche d'ufficio in primo grado con ordinanza che indica la competenza.
Tale ordinanza deve essere comunicata alle parti che possono riassumere il processo dinanzi al nuovo giudice nel termine di trenta giorni dalla comunicazione; oppure possono decidere di impugnare l'ordinanza con la quale il giudice ha dichiarato la propria competenza o incompetenza nel termine di trenta giorni dalla notificazione ovvero di sessanta giorni dalla pubblicazione, con il regolamento di competenza previsto e disciplinato dall'art. 15.
Il regolamento può essere altresì richiesto d'ufficio, con ordinanza, dal giudice dinanzi al quale il giudizio è stato riassunto se questi non si ritiene competente.
In tali casi l'ordinanza con la quale è stato richiesto il regolamento è immediatamente trasmessa d'ufficio al Consiglio di Stato a cura delle segreteria che deve avvisare i difensori costituiti della camera di consiglio fissata per regolare la competenza almeno dieci giorni prima. I difensori potranno depositare memorie e documenti fino a due giorni liberi ovvero chiedere di essere sentiti in camera di consiglio.
La questione di competenza inderogabile può, comunque, essere fatta valere anche con il regolamento di competenza.
Durante la pendenza del regolamento di competenza, il ricorrente può sempre proporre l'istanza cautelare al tribunale amministrativo regionale indicato quale competente dal giudice adito.
Da ultimo, va precisato che ai sensi dell' art. 47 del codice del processo amministrativo nei ricorsi devoluti alle sezioni staccate in base ai criteri di competenza territoriale di cui all'art. 13, il deposito del ricorso è effettuato presso la segreteria della sezione staccata.
Le parti, diverse dal ricorrente, se reputino che il ricorso debba essere deciso dal tribunale amministrativo regionale con sede nel capoluogo o dalla sezione staccata, devono eccepirlo nell'atto di costituzione e comunque non oltre il termine di sessanta giorni dal perfezionamento della notifica per le stesse.
In tal caso il presidente del tribunale amministrativo regionale provvede sulla eccezione con ordinanza motivata non impugnabile, udite le parti che ne facciano richiesta e se sono state disposte misure cautelari, le parti possono riproporre le istanze cautelari al giudice competente.
Par. 3
Astensione
Recita testualmente l'art. 17 del codice del processo amministrativo:
1. Al giudice amministrativo si applicano le cause e le modalita' di astensione previste dal codice di procedura civile.
La disciplina dell'astensione, inserita nella disposizione in commento rinvia alle norme del codice di procedura civile ovvero l'art. 51 c.p.c.
La ratio dell'istituto dell'astensione, così come della ricusazione, è da rinvenirsi nella assoluta necessità che il giudice decida in piena autonomia al fine di garantire l'assoluta "imparzialità" nell'esercizio delle sue funzioni giurisdizionali.
I casi enumerati nel primo comma dell'art. 51, ovvero quelli in cui il giudice ha l'obbligo di astenersi, sono sostanzialmente riferibili ad ipotesi di conflitto di interessi del giudice in prima persona ovvero della moglie.
Il giudice, infatti, ha l'obbligo di astenersi:
1) se ha interesse nella causa o in altra vertente su identica questione di diritto;
2) se egli stesso o la moglie e' parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o e' convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori;
3) se egli stesso o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori;
4) se ha dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o ha deposto in essa come testimone, oppure ne ha conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o vi ha prestato assistenza come consulente tecnico;
5) se e' tutore, curatore, procuratore, agente o datore di lavoro di una delle parti; se, inoltre, e' amministratore o gerente di un ente, di un'associazione anche non riconosciuta, di un comitato, di una societa' o stabilimento che ha interesse nella causa.
Il secondo comma dell'articolo 51 c.p.c. disciplina la c.d. astensione facoltativa prevedendo che in ogni altro caso in cui esistono gravi ragioni di convenienza, il giudice puo' richiedere al capo dell'ufficio l'autorizzazione ad astenersi: quando l'astensione riguarda il capo dell'ufficio, l'autorizzazione e' chiesta al capo dell'ufficio superiore.
Par. 4
Recita testualmente l'art. 18 del codice del processo amministrativo:
Ricusazione
1. Al giudice amministrativo si applicano le cause di ricusazione previste dal codice di procedura civile.
2. La ricusazione si propone, almeno tre giorni prima dell'udienza designata, con domanda diretta al presidente, quando sono noti i magistrati che devono prendere parte all'udienza; in caso contrario, puo' proporsi oralmente all'udienza medesima prima della discussione. 3. La domanda deve indicare i motivi ed i mezzi di prova ed essere firmata dalla parte o dall'avvocato munito di procura speciale. 4. Proposta la ricusazione, il collegio investito della controversia puo' disporre la prosecuzione del giudizio, se ad un sommario esame ritiene l'istanza inammissibile o manifestamente infondata. 5. In ogni caso la decisione definitiva sull'istanza e' adottata, entro trenta giorni dalla sua proposizione, dal collegio previa sostituzione del magistrato ricusato, che deve essere sentito. 6. I componenti del collegio chiamato a decidere sulla ricusazione non sono ricusabili. 7. Il giudice, con l'ordinanza con cui dichiara inammissibile o respinge l'istanza di ricusazione, provvede sulle spese e puo' condannare la parte che l'ha proposta ad una sanzione pecuniaria non superiore ad euro cinquecento. 8. La ricusazione o l'astensione non hanno effetto sugli atti anteriori. L'accoglimento dell'istanza di ricusazione rende nulli gli atti compiuti ai sensi del comma 4 con la partecipazione del giudice ricusato.
Le stesse cause che danno luogo alla ricusazione dei giudici secondo gli artt. 51 e 52 c.p.c. (parentela ed affinità fino al quarto grado con una delle parti, lite pendente davanti un tribunale, interesse personale nella causa, qualità di amministratore di società interessata al giudizio, parentele o affinità in linea retta o in linea collaterale fino al 4° grado con l'avvocato di una delle parti) possono legittimare la istanza di ricusazione del giudice amministrativo.
L'istanza di ricusazione va proposta con domanda diretta al presidente del tribunale almeno tre giorni prima dell'udienza, quando siano noti i nomi dei giudici che debbono prendere parte all'udienza; in caso contrario, può proporsi oralmente all'udienza medesima, prima della discussione. La domanda deve indicare i motivi ed i mezzi di prova e deve essere sottoscritta dalla parte o dall'avvocato munito di mandato speciale.
Sulla domanda il tribunale decide in camera di consiglio e, se l'istanza è respinta, la parte che l'ha proposta viene condannata con la stessa decisione ad una multa. La ricusazione non ha effetto sugli atti processuali anteriormente compiuti.
Par. 5
Il ricorso incidentale
Recita testualmente l'art. 42 del nuovo codice del processo amministrativo
Ricorso incidentale e domanda riconvenzionale
1. Le parti resistenti e i controinteressati possono proporre domande il cui interesse sorge in dipendenza della domanda proposta in via principale, a mezzo di ricorso incidentale. Il ricorso si propone nel termine di sessanta giorni decorrente dalla ricevuta notificazione del ricorso principale. Per i soggetti intervenuti il termine decorre dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale. 2. Il ricorso incidentale, notificato ai sensi dell'articolo 41 alle controparti personalmente o, se costituite, ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile, ha i contenuti di cui all'articolo 40 ed e' depositato nei termini e secondo le modalita' previste dall'articolo 45. 3. Le altre parti possono presentare memorie e produrre documenti nei termini e secondo le modalita' previsti dall'articolo 46. 4. La cognizione del ricorso incidentale e' attribuita al giudice competente per quello principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza funzionale di un tribunale amministrativo regionale, ai sensi dell'articolo 14; in tal caso la competenza a conoscere dell'intero giudizio spetta al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero al tribunale amministrativo regionale avente competenza funzionale ai sensi dell'articolo 14. 5. Nelle controversie in cui si faccia questione di diritti soggettivi le domande riconvenzionali dipendenti da titoli gia' dedotti in giudizio sono proposte nei termini e con le modalita' di cui al presente articolo.
Il controinteressato e le parti resistenti alle quali sia stato notificato il ricorso, possono a loro volta, proporre ricorso incidentale, per impugnare il provvedimento amministrativo in quella parte che non è stata impugnata dal ricorrente o per motivi diversi da quelli dedotti da quest'ultimo.
Con il ricorso incidentale essi chiedono che nell'ipotesi in cui il provvedimento venga riconosciuto illegittimo, venga annullato non nelle parti e per i motivi di cui al ricorso principale, bensì nelle parti del provvedimento che sono meno favorevoli al ricorrente principale e per quei motivi che, una volta accolti consentirebbero all'amministrazione di rinnovare il provvedimento in modo da pervenire allo stesso risultato o ad un risultato più vantaggioso per il ricorrente incidentale.
Il ricorso incidentale ha carattere accessorio rispetto a quello principale.
Da ciò deriva anzitutto che con il ricorso incidentale non si possono dedurre motivi che si sarebbero dovuti far valere con il ricorso principale.
Inoltre il ricorso incidentale segue le vicende del ricorso principale, nel senso che la dichiarazione di irricevibilità o inammissibilità di quest'ultimo preclude l'esame del ricorso incidentale. Inoltre il ricorrente incidentale non potrebbe pretendere che siano esaminati i motivi del suo ricorso, allorché il ricorso principale venisse rigettato o rinunciato.
Ai sensi dell' art. 42 del codice del processo amministrativo, che rinvia al successivo art. 45 del codice del processo amministrativo, il ricorso incidentale deve essere proposto nel termine di sessanta giorni che decorrono dalla notificazione del ricorso principale, mentre per gli dall'effettiva conoscenza della proposizione del ricorso principale.
Esso deve contenere gli stessi elementi del ricorso principale e quindi:
a) gli elementi identificativi del ricorrente, del suo difensore e delle parti nei cui confronti il ricorso è proposto;
b) l'indicazione dell'oggetto della domanda, ivi compreso l'atto o il provvedimento eventualmente impugnato, e la data della sua notificazione, comunicazione o comunque della sua conoscenza;
c) l'esposizione sommaria dei fatti, i motivi su cui si fonda il ricorso, l'indicazione dei mezzi di prova e dei provvedimenti chiesti al giudice;
d) la sottoscrizione del ricorrente, se sta in giudizio personalmente, oppure del difensore, con indicazione, in questo caso, della procura speciale.
Ai sensi del secondo comma dell'art. 42 del codice del processo amministrativo il ricorso incidentale va notificato, ai sensi dell'art. 41 del codice del processo amministrativo, alle controparti personalmente o, se costituite, al procuratore costituito secondo quanto previsto dall'art. 170 c.p.c. e deve essere depositato nella segreteria del giudice adito nel termine perentorio di trenta gironi dall'ultima notificazione.
In seguito alla notifica del ricorso incidentale, le altre parti possono presentare memorie e produrre documenti nel termine di sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della notificazione del ricorso incidentale.
Sul ricorso incidentale decide lo stesso giudice competente sul ricorso principale, salvo che la domanda introdotta con il ricorso incidentale sia devoluta alla competenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero alla competenza inderogabile di un tribunale amministrativo regionale; in tal caso la competenza a conoscere dell'intero giudizio spetta a tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ovvero al tribunale amministrativo regionale avente competenza inderogabile.
Par. 6
La domanda riconvenzionale
Con l'ultimo comma dell'art. 42 del codice del processo amministrativo in commento è stata prevista la possibilità, limitatamente alle controversie relative a diritti soggettivi, di proporre domande riconvenzionali dipendenti da titoli già dedotti in giudizio.
In assenza di ulteriori previsioni, per la disciplina della domanda riconvenzionale si rinvia alle disposizioni del codice di procedura civile il quale prevede che l'oggetto del giudizio verta sull'accertamento di un rapporto giuridico sostanziale controverso. Pertanto, tutte le volte in cui l'oggetto è diverso, non vi è posto per la domanda riconvenzionale.
In termini estremamente sintetici, potrà dirsi che la domanda riconvenzionale è una domanda autonoma, non collegata da alcun vincolo di accessorietà alla domanda principale e volta ad accertare l'esistenza di un rapporto giuridico controverso nel quale il ricorrente è in effetti convenuto.
Nel previdente regime normativo la Giurisprudenza aveva chiarito:
"Laddove l'eccezione di irricevibilità per il tardivo deposito dell'originale dell'atto di ricorso con l'attestazione delle avvenute notifiche sia stata respinta dal Tar, l'eventuale reiterazione di detta eccezione da parte dell'appellato va proposta con appello incidentale e non con semplice memoria" (Consiglio Stato , sez. VI, 06 marzo 2009, n. 1348).
"Ai sensi dell'art. 37, r.d. n. 1054 del 1924 - richiamato per i processi innanzi al Tar dall'art. 22, l. n. 1034 del 1971 - il termine per la proposizione del gravame incidentale è di trenta giorni dallo scadere del termine normativamente fissato per il deposito del ricorso principale e, quindi, nelle controversie sottoposte allo speciale procedimento previsto dall'art. 23 bis, l. n. 1034 del 1971 il termine complessivo è di quarantacinque giorni dalla notifica del ricorso principale (dovendosi sommare i 15 giorni per il deposito del ricorso principale ai trenta giorni previsti dall'art. 37 citato). A ciò si aggiunge che il termine per il deposito del ricorso incidentale è pari a cinque giorni ai sensi dell'art. 23 bis comma 2, l. n. 1034 del 1971 (introdotto dalla l. n. 205 del 2000), stante il fatto che anche per il deposito del ricorso - principale o incidentale - si applica la riduzione a metà dei termini processuali disposta dalla stessa norma con l'unica eccezione dei quelli per la « proposizione » (da intendersi « notifica ») del ricorso, come è ormai pacifico in giurisprudenza" (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 08 ottobre 2008, n. 8825).
Par. 7
Recita testualmente l'art. 43 del nuovo codice del processo amministrativo:
Motivi aggiunti
1. I ricorrenti, principale e incidentale, possono introdurre con motivi aggiunti nuove ragioni a sostegno delle domande gia' proposte, ovvero domande nuove purche' connesse a quelle gia' proposte. Ai motivi aggiunti si applica la disciplina prevista per il ricorso, ivi compresa quella relativa ai termini. 2. Le notifiche alle controparti costituite avvengono ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile. 3. Se la domanda nuova di cui al comma 1 e' stata proposta con ricorso separato davanti allo stesso tribunale, il giudice provvede alla riunione dei ricorsi ai sensi dell'articolo 70.
L'istituto dei motivi aggiunti è stato positivamente introdotto nell'ambito del processo amministrativo dall'art. 1 della L. n. 205 del 2000 che ha modificato l'art. 21, comma 1 della Legge TAR prevedendo: "tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso tra le stesse parti, connessi all'oggetto del ricorso stesso, sono impugnati mediante la proposizione di motivi aggiunti". Tale norma è stata, tuttavia, oggi abrogata dal nuovo codice del processo amministrativo.
L'istituto dei motivi aggiunti è di origine giurisprudenziale ed è contrassegnato da una lunga evoluzione che trova il suo punto storico di partenza nella pronuncia del Consiglio di Stato n 369 del 18 agosto 1905.
Il termine per la proposizione dei motivi aggiunti è lo stesso del ricorso principale ed è quindi quello di sessanta giorni decorrente dalla conoscenza giudiziale o extragiudiziale del fatto o atto nuovo. Nel caso di azione di condanna il termine è di 120 giorni mentre nel caso di azione avverso il silenzio il termine è di un anno e non oltre dalla scadenza del termine di conclusione del procedimento.
I motivi aggiunti devono essere notificati a tutte le parti, ancorchè non costituite in giudizio.
I motivi aggiunti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, non richiedono un nuovo mandato alle liti; seguono, sotto il profilo processuale le sorti del ricorso principale cui accedono, non possono essere utilizzati per impugnare provvedimenti dotati di autonoma portata lesiva mentre possono ampliare la causa petendi ove le ulteriori censure articolare siano state conosciute solo in corso di causa.
In Giurisprudenza:
"La disposizione di cui all'art. 21, l. Tar, come sostituito dall'art. 1 comma 1, l. 21 luglio 2000 n. 205, secondo la quale tutti i provvedimenti adottati in pendenza del ricorso fra le stesse parti e connessi all'oggetto del ricorso stesso sono impugnati mediante la proposizione di motivi aggiunti, è applicabile solo nel giudizio di primo grado, e non anche in quello di appello, ciò perché, in caso contrario, la scelta di una delle parti in causa priverebbe le altre parti del primo dei due gradi del giudizio, ossia di una garanzia e, nel contempo, di un diritto che non possono essere elisi dalla sola volontà di una delle di esse" (Consiglio Stato , sez. VI, 04 aprile 2008, n. 1442).
Il principio di concentrazione dei processi sotteso all'art. 1 della l. n. 205 del 2000, per il quale qualora sopraggiungano provvedimenti ulteriori, connessi funzionalmente a quelli oggetto del ricorso iniziale, devono essere proposti motivi aggiunti, non può trovare ingresso ove il ricorso originario sia stato introdotto con il rito speciale ex art. 21 bis della l. Tar (o ex art. 2 della l. n. 205 del 2000), essendo su un piano processuale incompatibile il procedimento camerale con quello ordinario. Nondimeno, ove all'originaria domanda diretta avverso il silenzio inadempimento segua un'azione di tipo impugnatorio introdotta con motivi aggiunti dall'errore di procedura non consegue un'automatica dichiarazione d'inammissibilità del sopraggiunto gravame, dovendo il giudice amministrativo dare applicazione al principio di cui all'art. 156, co. II, c.p.c. e verificare se nel caso concreto siano stati rispettati o possono essere comunque rispettati i termini e le modalità dettati per il rito ordinario a tutela delle parti (Consiglio Stato , sez. V, 04 marzo 2008, n. 897).
"Ai fini dell'ammissibilità dei motivi aggiunti, il rapporto di connessione indicato dall'art. 21 l. n. 1034 del 1971 va interpretato in senso ampio. In particolare, i motivi aggiunti sono ammissibili non soltanto se connessi agli atti precedentemente impugnati, ma anche se riguardanti atti connessi all'oggetto del giudizio già instaurato. Con tale mezzo è, pertanto possibile ampliare il "petitum" del ricorso estendendolo ad altri, diversi provvedimenti. E ciò vieppiù quando il soggetto interessato proponga anche una o più azioni risarcitorie, tese a stigmatizzare, nel suo complesso, l'atteggiamento dell'amministrazione" (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307).
"Il presupposto necessario e il limite di operatività dell'istituto dei motivi aggiunti ex art. 21, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 è l'accertata sussistenza di un rapporto di connessione tra i diversi provvedimenti, intendendosi per tale non la connessione agli atti già impugnati ma, più in generale, all'oggetto del giudizio instaurato" (Consiglio Stato , sez. V, 19 marzo 2007, n. 1307).
"Ai fini della proposizione di motivi aggiunti ex art. 21 comma 1, l. Tar non è necessario un mandato autonomo rispetto a quello rilasciato per la proposizione del ricorso originario, e ciò in quanto il mandato originario deve ritenersi comprensivo - salve espresse eccezioni - di tutti i poteri processuali finalizzati alla rimozione della lesione subita dal ricorrente; ciò in coerenza con la ratio dello strumento processuale in questione, da individuarsi nell'esigenza di apprestare un rimedio semplificato finalizzato a consentire l'integrazione delle censure prospettate, non tanto nei confronti del primo provvedimento, ma nei riguardi dell'intero esercizio del potere che ha comportato la lesione della situazione soggettiva nel suo insieme e, quindi, ad arricchire (senza limiti e preclusioni irragionevoli) il thema decidendum, così come prospettato e definito con l'atto introduttivo del giudizio, con la contestazione di provvedimenti riconducibili alla medesima vicenda lesiva censurata con il ricorso principale" (Consiglio Stato , sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6463).
Par. 8
L'intervento di terzo
Art. 50
Intervento volontario in causa
1. L'intervento e' proposto con atto diretto al giudice adito, recante l'indicazione delle generalita' dell'interveniente. L'atto deve contenere le ragioni su cui si fonda, con la produzione dei documenti giustificativi, e deve essere sottoscritto ai sensi dell'articolo 40, comma 1, lettera d). 2. L'atto di intervento e' notificato alle altre parti ed e' depositato nei termini di cui all'articolo 45; nei confronti di quelle costituite e' notificato ai sensi dell'articolo 170 del codice di procedura civile. 3. Il deposito dell'atto di intervento di cui all'articolo 28, comma 2, e' ammesso fino a trenta giorni prima dell'udienza.
Art. 51
Intervento per ordine del giudice
1. Il giudice, ove disponga l'intervento di cui all'articolo 28, comma 3, ordina alla parte di chiamare il terzo in giudizio, indicando gli atti da notificare e il termine della notificazione. 2. La costituzione dell'interventore avviene secondo le modalita' di cui all'articolo 46. Si applica l'articolo 49, comma 3, terzo periodo.
L'intervento è l'atto di ingresso di un terzo (ossia di una parte eventuale) in un procedimento giurisdizionale già pendente. Tale eventualità nel processo amministrativo è stato introdotto con l'art. 22 comma 2 della legge TAR, oggi abrogato, il quale aveva previsto che "chi ha interesse nella contestazione può intervenire".
Nel giudizio amministrativo l'intervento ha tradizionalmente carattere volontario. Tuttavia, a seguito dell'introduzione anche nel processo amministrativo dell'istituto dell'opposizione di terzo, si ritiene che anche il giudice amministrativo possa disporre l'intervento iussu iudicis, almeno per i soggetti che potrebbero proporre l'opposizione di terzo.
L'intervento è definito ad adiuvandum quando l'interveniente agisce per sostenere la posizione del ricorrente.
Non possono proporre intervento ad adiuvandum i soggetti cointeressati, cioè i titolari di un interesse legittimo analogo a quello del ricorrente, poiché essi avrebbero potuto impugnare il provvedimento nel termine dedadenziale di 60 giorni. Tale preclusione si giustifica dal fatto che altrimenti l'intervento consentirebbe di eludere il suddetto termine decadenziale previsto per l'impugnazione.
L'interventore ad adiuvandum ha un interesse "dipendente" da quello di una delle parti necessarie, nel senso che il provvedimento impugnato esplicherebbe una efficacia diretta e immediata nei confronti della parte necessaria, mentre avrebbe una efficacia soltanto indiretta nei confronti dell'interveniente. Parte della giurisprudenza ha ammesso anche l'intervento determinato da un mero interesse di fatto.
L'interveniente ad adiuvandum non può proporre autonomi motivi di impugnazione, ma solo proporre argomentazioni a supporto delle censure mosse dal ricorrente.
Se l'intervento è di chi è interessato a difendere la legittimità del provvedimento impugnato e quindi le ragioni dell'amministrazione resistente, l'intervento è definito ad opponendum.
La giurisprudenza ha ammesso anche l'intervento del soggetto che, pur non essendo controinteressato in senso tecnico, sia titolare di un interesse autonomo e non dipendente da quello delle parti principali (amministrazione o controinteressato). In tale caso, l'interventore ad opponendum può anche proporre appello.
Più specificamente, l'intervento volontario è ora espressamente disciplinato dall' art. 50 del codice del processo amministrativo e va proposto con atto diretto al giudice adito, contenente le generalità dell'interveniente. L'atto dovrà contenere, inoltre, le ragioni su cui si fonda, con la produzione dei documenti giustificativi, e deve essere sottoscritto o dall'interveniente se sta in giudizio personalmente o dal difensore munito di apposita procura.
L'atto di intervento è notificato alle altre parti ed è depositato nel termine di trenta giorni dall'ultima notifica. Il deposito è ammesso fino a trenta giorni prima dell'udienza.
L'art. 51 del codice del processo amministrativo ha introdotto una nuova previsione in merito all'intervento per ordine del giudice.
In tal caso l'interventore dovrà costituirsi entro sessanta giorni dal perfezionamento nei propri confronti della chiamata in causa presentando memorie, istanze, indicando i mezzi di prova di cui intende valersi e producendo documenti.
Qualora la parte intimata a proporre la chiamata in causa non notifichi e depositi l'atto entro il termine previsto dal giudice, il ricorso viene dichiarato improcedibile con sentenza semplificata.
La Giurisprudenza ha chiarito:
"Nel processo amministrativo, ai fini della legittimazione all'intervento volontario di soggetti diversi dalle parti originarie (art. 22 comma 2, l. Tar), è sufficiente un qualsiasi interesse, anche di puro fatto o morale, anche perché l'interventore, non essendo titolare di un interesse diretto nella controversia, non può assumere una posizione autonoma, ma solo aderire alla posizione di una delle due parti principali" (Consiglio Stato , sez. V, 13 novembre 2007, n. 5810).
"Nel processo amministrativo, ai fini della legittimazione all'intervento volontario di soggetti diversi dalle parti originarie (art. 22 comma 2 l. 6 dicembre 1971 n. 1034), è sufficiente un qualsiasi interesse, anche di puro fatto o morale, anche perché l'interventore, non essendo titolare di un interesse diretto nella controversia, non può assumere una posizione autonoma ma solo aderire alla posizione di una delle due parti principali" (Consiglio Stato , sez. V, 31 gennaio 2007, n. 385).
"Posto che la domanda di intervento nel giudizio amministrativo, tanto "ad opponendum" che "ad adiuvandum", deve essere notificata nelle forme di rito sia all'amministrazione che alle altre parti costituite, l'incompleto o il mancato adempimento di detto onere comporta l'inammissibilità dell'intervento" (Consiglio Stato , sez. IV, 07 ottobre 1997, n. 1100).
"L'atto di appello dichiarato inammissibile, perché effettuato da chi non sia stato parte del processo di primo grado, può essere considerato alla stregua di un intervento "ad adiuvandum" qualora risulti innegabile l'interesse alla controversia in esame dei proponenti, essendo pacificamente ammessa la possibilità di proporre intervento per la prima volta in appello ai sensi degli art. 22, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 e art. 37, r.d. 17 agosto 1907 n. 642" (Consiglio Stato , sez. IV, 07 giugno 1996, n. 741).
Par. 9
La sospensione del processo
Art. 79
Sospensione e interruzione del processo
1. La sospensione del processo e' disciplinata dal codice di procedura civile, dalle altre leggi e dal diritto dell'Unione europea. 2. L'interruzione del processo e' disciplinata dalle disposizioni del codice di procedura civile. 3. Le ordinanze di sospensione emesse ai sensi dell'articolo 295 del codice di procedura civile sono appellabili. L'appello e' deciso in camera di consiglio.
Art. 80
Prosecuzione o riassunzione del processo sospeso o interrotto
1. In caso di sospensione del giudizio, per la sua prosecuzione deve essere presentata istanza di fissazione di udienza entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione. 2. Il processo interrotto prosegue se la parte nei cui confronti si e' verificato l'evento interruttivo presenta nuova istanza di fissazione di udienza. 3. Se non avviene la prosecuzione ai sensi del comma 2, il processo deve essere riassunto, a cura della parte piu' diligente, con apposito atto notificato a tutte le altre parti, nel termine perentorio di novanta giorni dalla conoscenza legale dell'evento interruttivo, acquisita mediante dichiarazione, notificazione o certificazione.
Il Giudizio amministrativo deve essere necessariamente sospeso nei seguenti casi:
a) quando sorga una questione di stato o di capacità di persone fisiche;
b) quando sia proposto regolamento preventivo di giurisdizione;
c) quando sia proposta querela di falso e la falsità influisce sul giudizio;
d) quando sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale di una legge;
e) nei casi di questioni pregiudiziali rientranti nella competenza riservata della Corte di Giustizia delle Comunità europee.
Il giudizio amministrativo può essere sospeso (sospensione facoltativa):
a) quando una questione pregiudiziale di diritto soggettivo, da risolversi incidenter tantum, penda in un giudizio civile ordinario, e influisca sul giudizio amministrativo;
b) quando penda altro giudizio amministrativo su un provvedimento connesso, la cui decisione influenza il giudizio amministrativo da sospendere.
Par. 10
L'interruzione del processo
L'istituto della interruzione, che è stato esteso al processo amministrativo dall'art. 24 l. TAR, ora abrogato, mira ad impedire che eventi pregiudizievoli che colpiscono la parte (morte, interdizione, inabilitazione) o il suo procuratore (morte, radiazione o sospensione dall'albo) possano ostacolare il diritto di difesa o la effettività del contraddittorio.
Poiché nel processo amministrativo non trova applicazione l'istituto della contumacia, l'interruzione può solo riguardare gli eventi che colpiscono le parti costituite in giudizio.
Bisogna analizzare tali eventi secondo che si riferiscono alle parti ovvero al procuratore:
a) parti: costituiscono eventi interrottivi la morte, la dichiarazione di morte presunta, la dichiarazione di assenza, la interdizione, l'inabilitazione delle persone fisiche e l'estinzione della persona giuridica (non però l'estinzione dell'ente pubblico, perché la legge inspiegabilmente, per tale evento, ha circoscritto l'applicabilità dell'interruzione solo alle parti provate), nonché il fallimento e la liquidazione coatta amministrativa dei commercianti e delle società commerciali;
b) procuratore costituito in giudizio: costituiscono eventi interrottivi la morte e la sospensione dall'albo, invece non danno liogo ad interruzione la revoca del mandato o la rinuncia al medesimo. Non sono neppure cause di interruzione l'infermità, l'impedimento, la volontaria cancellazione dall'albo. L'interruzione inoltre non si verifica allorché essendo due o più procuratori costituiti l'evento interruttivo colpisca solo uno di essi.
Perché si verifichi l'interruzione del processo per evento che colpisce la parte è necessario che l'evento sia portato a conoscenza da parte del procuratore a mezzo di dichiarazione in udienza o mediante notifica alle altre parti. Solo il procuratore della parte colpita è legittimato a introdurre nel giudizio uno di tali mezzi di conoscenza e non già le altre parti, che dall'evento possono, se mai, essere avvantaggiate.
Invece la interruzione del processo per evento che colpisce il procuratore, si verifica ipso jure.
L'art. 80 del codice del processo amministrativo prevede che in seguito alla sospensione del giudizio la parte interessata dovrà proporre apposita istanza di fissazione di udienza per la sua prosecuzione del giudizio entro novanta giorni dalla comunicazione dell'atto che fa venir meno la causa della sospensione.
Nel caso di processo interrotto, la parte nei cui confronti si è verificato l'evento interruttivo dovrà presentare una nuova istanza di fissazione.
Qualora ciò non avvenga, la parte più diligente, onde evitare che il processo si estingua, dovrà riassumerlo entro il termine di novanta giorni dal momento in cui ha avuto conoscenza legale dell'evento interruttivo, mediante dichiarazione, notificazione o certificazione, cn apposito atto notificato a tutte le altre parti.
Più specificamente:
"Ai sensi dell'art. 295, c.p.c., applicabile anche al processo amministrativo, non sussiste alcun obbligo di sospendere il processo a causa della pendenza di altro ricorso fra le stesse parti presso un diverso giudice quando fra i due giudizi non sussiste alcun nesso di conseguenzialità avendo essi ad oggetto provvedimenti del tutto autonomi fra di loro"( Consiglio Stato , sez. V, 23 gennaio 2008, n. 146).
La sospensione necessaria del processo amministrativo, cui è applicabile l'art. 295 c.p.c., presuppone un nesso di stretta dipendenza e conseguenzialità logica tra due controversie nel senso che il merito dell'una non può essere esaminato prima che venga definita da altro organo giurisdizionale la questione pregiudiziale ed il vincolo di pregiudizialità deve riguardare l'intera res litigiosa dedotta col ricorso, cioè deve investire l'intero rapporto in contestazione, mentre non è sufficiente a giustificare la sospensione del giudizio l'insorgere di una questione pregiudiziale, la cui soluzione non appaia indispensabile per il conclusivo accertamento, richiesto dalla parte privata, circa la legittimità o illegittimità del provvedimento impugnato" (Consiglio Stato , sez. IV, 08 settembre 2005, n. 4636).
"La sospensione necessaria del processo ai sensi dell'art. 295, c.p.c., presuppone un nesso di stretta dipendenza e conseguenzialità logica tra due controversie nel senso che il merito dell'una non può essere esaminato prima che venga definita da altro organo giurisdizionale la questione pregiudiziale; pertanto, applicando l'istituto al processo amministrativo, il vincolo di pregiudizialità deve riguardare l'intera res litigiosa dedotta col ricorso, cioè deve investire l'intero rapporto in contestazione, mentre non è sufficiente a giustificare la sospensione del giudizio l'insorgere di una questione pregiudiziale, la cui soluzione non appaia indispensabile per il conclusivo accertamento, richiesto dalla parte privata, circa la legittimità o illegittimità del provvedimento impugnato" (Consiglio Stato , sez. V, 18 novembre 2004, n. 7536).
La sospensione necessaria del processo ai sensi dell'art. 295, c.p.c., presuppone un nesso di stretta dipendenza e conseguenzialità logica tra due controversie nel senso che il merito dell'una non può essere esaminato prima che venga definita da altro organo giurisdizionale la questione pregiudiziale; pertanto, applicando l'istituto al processo amministrativo, il vincolo di pregiudizialità deve riguardare l'intera res litigiosa dedotta col ricorso, cioè deve investire l'intero rapporto in contestazione, mentre non è sufficiente a giustificare la sospensione del giudizio l'insorgere di una questione pregiudiziale, la cui soluzione non appaia indispensabile per il conclusivo accertamento, richiesto dalla parte privata, circa la legittimità o illegittimità del provvedimento impugnato" (Consiglio Stato , sez. V, 18 novembre 2004, n. 7536).
"Nel processo amministrativo, il provvedimento di cancellazione dal ruolo, dall'esclusivo contenuto ordinatorio, può assimilarsi "quoad effectum", in considerazione degli scopi ai quali assolve, non già all'omologa ordinanza di cui all'art. 181 c.p.c., ma alla sospensione del processo, disciplinata dall'art. 296 c.p.c.; pertanto, il presupposto indefettibile per la cancellazione di una causa dal ruolo risiede nell'accordo di tutte le parti costituite" (Consiglio Stato , sez. V, 20 ottobre 2004, n. 6799).
Par.11
Perenzione
Art. 81
1. Il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. Il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di cui all'articolo 71, comma 1, e finche' non si sia provveduto su di essa, salvo quanto previsto dall'articolo 82.
Art. 82
Perenzione dei ricorsi ultraquinquennali
1. Dopo il decorso di cinque anni dalla data di deposito del ricorso, la segreteria comunica alle parti costituite apposito avviso in virtu' del quale e' fatto onere al ricorrente di presentare nuova istanza di fissazione di udienza, sottoscritta dalla parte che ha rilasciato la procura di cui all'articolo 24 e dal suo difensore, entro centottanta giorni dalla data di ricezione dell'avviso. In difetto di tale nuova istanza, il ricorso e' dichiarato perento. 2. Se, in assenza dell'avviso di cui al comma 1, e' comunicato alle parti l'avviso di fissazione dell'udienza di discussione nel merito, il ricorso e' deciso qualora il ricorrente dichiari, anche in udienza a mezzo del proprio difensore, di avere interesse alla decisione; altrimenti e' dichiarato perento dal presidente del collegio con decreto.
Art. 83
Effetti della perenzione
1. La perenzione opera di diritto e puo' essere rilevata anche d'ufficio. Ciascuna delle parti sopporta le proprie spese nel giudizio.
Art. 84
Rinuncia
1. La parte puo' rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale. 2. Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle. 3. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue. 4. Anche in assenza delle formalita' di cui ai commi precedenti il giudice puo' desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresi' dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa.
Art. 85
Forma e rito per l'estinzione e per l'improcedibilita'
1. L'estinzione e l'improcedibilita' di cui all'articolo 35 possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da lui delegato. 2. Il decreto e' depositato in segreteria, che ne da' comunicazione alle parti costituite.
3. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite puo' proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti. 4. Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi dell'articolo 87, comma 3, ed e' deciso con ordinanza che, in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito. 5. In caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilita' di compensazione anche parziale. 6. L'ordinanza e' depositata in segreteria, che ne da' comunicazione alle parti costituite. 7. Avverso l'ordinanza che decide sull'opposizione puo' essere proposto appello. 8. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e l'udienza di discussione e' fissata d'ufficio con priorita'. 9. L'estinzione e l'improcedibilita' sono dichiarate con sentenza se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione.
L'art. 81 del codice del processo amministrativo prevede che il ricorso si considera perento se nel corso di un anno non sia compiuto alcun atto di procedura. In tal modo si presuppone che l'inerzia delle parti sia sintomatica di una mancanza di interesse al proseguimento della causa e quindi denoti la volontà di non esercitare il cd. impulso processuale.
Viene precisato, inoltre, che il termine non decorre dalla presentazione dell'istanza di fissazione dell' udienza di discussione, salvo la perenzione per i ricorsi ultraquinquennali prevista dall' art. 82 del codice del processo amministrativo.
Tale istituto non è collegato al puro e semplice interesse delle parti, ma a tutela del principio di economia processuale.
Per atto di procedura si deve intendere non qualunque atto che manifesti la volontà della parte di mantenere in vita il processo, bensì il compimento di un'attività che apporti un concreto impulso all'iter procedimentale (cfr. in termini C.d.S. Sez. V 8.3.2006 n. 1211).
Come sopra richiamato l'art. 82 del codice del processo amministrativo ha previsto l'istituto della perenzione relativamente ai ricorsi ultraquinquennali.
L'istituto si applica automaticamente, al semplice decorrere del tempo, senza che rilevi affatto il comportamento precedente della parte, che può aver presentato istanze di fissazione od anche di prelievo rimaste senza esito.
L'art. 1 dell'allegato 3 contiene, poi, una norma transitoria, specificamente diretta all'eliminazione dell'arretrato, con riferimento ai ricorsi pendenti da oltre cinque anni e per i quali non sia stata ancora fissata l'udienza di discussione. Ove il ricorrente sia interessato ad evitare la perenzione, dovrà, infatti, presentare una nuova istanza di fissazione dell'udienza entro il termine perentorio di centoottanta giorni dall'entrata in vigore del codice.
Il secondo comma attenua, tuttavia, i rigori della suindicata disposizione normativa, prevedendo che il ricorrente possa dichiarare, nel termine di centottanta giorni dalla comunicazione del decreto, di avere interesse alla trattazione della causa, così sollecitando il presidente a revocare il decreto di perenzione e disporre la reiscrizione della causa sul ruolo di merito.
L'atto che permette la revoca del decreto di perenzione deve essere sottoscritto dalla parte personalmente e dal difensore, e va notificato alle altre parti.
Va evidenziato che mentre normalmente, per evitare la perenzione deve essere presentata l'istanza di fissazione d'udienza, o allorché la medesima almeno una volta sia stata introdotta, può essere compiuto un atto difensivo, da qualunque delle parti in causa, la perenzione nel caso di ricorso ultraquinquennale può essere evitata soltanto se interviene il ricorrente.
Ai sensi dell' art. 83 del codice del processo amministrativo la perenzione opera di e può essere rilevata d'ufficio.
Con il provvedimento che dichiara la perenzione le spese di giudizio vengono compensate tra le parti ovvero ciascuna sopporta le proprie spese.
L'estinzione del processo per perenzione viene pronunciata con decreto del presidente o di un magistrato da lui delegato.
L'art. 84 del codice del processo amministrativo recita testualmente
Rinuncia
1. La parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale.
2. Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
3. La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue.
4. Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall'intervento di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa.
Ai sensi del primo comma dell' art. 84 del codice del processo amministrativo la parte può rinunciare al ricorso in ogni stato e grado della controversia, mediante dichiarazione sottoscritta da essa stessa o dall'avvocato munito di mandato speciale e depositata presso la segreteria, o mediante dichiarazione resa in udienza e documentata nel relativo verbale, ma in tale ultimo caso non è necessario che venga notificata.
Sulla base del tenore letterale della disposizione, la rinuncia può essere effettuata in qualunque stato del processo anche in grado di appello ed essa estingue il giudizio nella sua globalità.
Il rinunciante deve pagare le spese degli atti di procedura compiuti, salvo che il collegio, avuto riguardo a ogni circostanza, ritenga di compensarle.
La rinuncia deve essere notificata alle altre parti almeno dieci giorni prima dell'udienza. Se le parti che hanno interesse alla prosecuzione non si oppongono, il processo si estingue.
Anche in assenza delle formalità di cui ai commi precedenti il giudice può desumere dall'intervento, di fatti o atti univoci dopo la proposizione del ricorso ed altresì dal comportamento delle parti argomenti di prova della sopravvenuta carenza d'interesse alla decisione della causa.
Par. 12
Forma e rito per l'estinzione e per l'improcedibilità
Articolo 85
1. L'estinzione e l'improcedibilità di cui all'articolo 35 possono essere pronunciate con decreto dal presidente o da un magistrato da lui delegato.
2. Il decreto è depositato in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite.
3. Nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione ciascuna delle parti costituite può proporre opposizione al collegio, con atto notificato a tutte le altre parti.
4. Il giudizio di opposizione si svolge ai sensi dell'articolo 87, comma 3, ed è deciso con ordinanza che, in caso di accoglimento dell'opposizione, fissa l'udienza di merito.
5. In caso di rigetto, le spese sono poste a carico dell'opponente e vengono liquidate dal collegio nella stessa ordinanza, esclusa la possibilità di compensazione anche parziale.
6. L'ordinanza è depositata in segreteria, che ne dà comunicazione alle parti costituite.
7. Avverso l'ordinanza che decide sull'opposizione può essere proposto appello.
8. Il giudizio di appello procede secondo le regole ordinarie e l'udienza di discussione è fissata d'ufficio con priorità.
9. L'estinzione e l'improcedibilità sono dichiarate con sentenza se si verificano, o vengono accertate, all'udienza di discussione.
L'art. 85 del codice del processo amministrativo conferma quanto precedentemente previsto dall'art. 26 ult. comma l. 1034/1971, così come riscritto dall'art. 9 comma 1 l. 205/2000, ovvero l'adozione di una forma particolare di decisione semplificata per la definizione del giudizio nelle ipotesi di estinzione ed, in particolare, nei casi di rinuncia al ricorso, di cessazione della materia del contendere e perenzione.
La scorciatoia processuale, giustificata dalla avvertita necessità pratica di risolvere rapidamente giudizi che presentano situazioni chiare e palesi tali da non richiedere un esame particolarmente approfondito nel merito o che, in qualche caso rendono inutile tale esame, consiste nel potere del presidente della sezione (o di un magistrato da lui delegato) di pronunciare, nelle ipotesi sopra richiamate, l'estinzione e l'improcedibilità del giudizio nella forma del decreto (monocratico), da depositarsi in segreteria e da comunicarsi, ad onere di quest'ultima, alle parti costituite.
Tale decreto è opponibile dinanzi al collegio, entro sei giorni dalla comunicazione, da parte di ciascuna delle parti costituite, con ricorso notificato alle altri parti e depositato entro dieci giorni dall'ultima notifica. Il collegio decide in camera di consiglio, sentite le parti che ne facciano richiesta, entro trenta giorni successivi al deposito dell'opposizione, pronunciandosi, in caso di rigetto, anche sulle spese della procedura secondo il principio della soccombenza (e senza possibilità di disporre la compensazione); in caso di accoglimento, con ordinanza viene disposta la reiscrizione del ricorso nel ruolo ordinario.
In ogni caso, avverso l'ordinanza dirimente l'opposizione, è ammesso ricorso in appello secondo le regole ordinarie, salvo la dimidiazione dei termini processuali.
Rispetto a quanto previsto dal precedente articolo 26 è espunto il riferimento all'obbligo di deposito in segreteria dell'eventuale atto di opposizione al collegio avverso il decreto; si prevede inoltre che l'estinzione e l'improcedibilità siano dichiarate con sentenza (anziché con decreto) quando le relative condizioni si verifichino o vengano accertate durante l'udienza di discussione.