Per la determinazione del tasso di interesse usurario, si deve tener conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito
RAGIONI DELLA DECISIONE
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3, la "falsa applicazione della legge n. 108 del 1996 art. 1 (art. 644 c.p.)" per la ritenuta "concomitanza di usura presunta e concreta".
La legge 108 del 1996 imporrebbe una gradazione di giudizio in base alla quale andrebbe innanzitutto vagliata la sussistenza dell'usura presunta e, solo ove questa non sia individuata o non possa essere individuata, potrebbe essere esaminata la ricorrenza di quella concreta.
Sarebbe infatti contraddittorio concludere per il superamento del tasso soglia e, contemporaneamente, concludere anche per la sussistenza dell'usura concreta, che presuppone un tasso d'interesse sotto soglia.
Il motivo è inammissibile.
Infatti, nella sentenza impugnata non si afferma la contemporanea configurabilità dell'una e dell'altra ipotesi di usura.
La Corte di Appello si limita invece a rilevare che, anche qualora non dovesse ritenersi sussistente la c.d. usura presunta (per mancato superamento del tasso soglia, nel caso in cui non debbano essere conteggiati nel TEG i costi assicurativi), ricorrerebbe comunque la c.d. usura in concreto, ponendo dunque a fondamento della declaratoria di parziale nullità del contratto de quo due ragioni tra di loro non concorrenti, bensì alternative.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3, la "falsa applicazione della legge n. 108 del 1996 e della legge n. 2 del 2009".
Con riferimento all'usura presunta, la Corte di Appello avrebbe errato nel dare ingresso ad una rimodulazione selettiva del d.m. e ad un ricalcolo della soglia.
Non avrebbe infatti tenuto conto della giurisprudenza di legittimità in tema di commissione di massimo scoperto, secondo la quale, ferma l'esigenza di confronti omogenei tra tassi previsti in contratto e soglie coeve, spettando per legge al M.E.F. di stabilire le voci di costo o spesa che compongono il TEGM (e quindi, per la suddetta omogeneità, anche quelle che compongono il TEG contrattuale), sarebbero preclusi interventi interpretativi difformi mediante rimodulazione ex post dei TEG.
Inoltre, dall'art. 2 bis della 1. 2/2009, che impone il nuovo conteggio del TEG contrattuale dal momento nel quale la Banca d'Italia e il M.E.F. avranno compiuto le rilevazioni del TEGM seguendo la nuova impostazione di conteggio, si dedurrebbe che prima di tale momento manterrebbero piena valenza i TEG e le soglie già individuati dal M.E.F.
Il motivo è inammissibile.
Occorre preliminarmente precisare quanto segue: A. le istruzioni della Banca d'Italia in vigore all'epoca della conclusione del contratto (emanate nel febbraio 2006) prevedono che, nel conteggio del TEG contrattuale ai fini della rilevazione del TEGM, "le spese per assicurazioni e garanzie non sono ricomprese quando derivino dall'esclusivo adempimento di obblighi di legge" e che "nelle operazioni di prestito contro cessione del quinto dello stipendio e assimilate indicate nella Cat. 8, le spese per assicurazione in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore non rientrano nel calcolo del tasso purché siano certificate da apposita polizza".
Le successive istruzioni di vigilanza (emanate nell'agosto 2009) contemplano invece l'inclusione nel calcolo del TEG di tutte "le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore [...] se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte", includendo tra tali spese anche "le spese per assicurazione in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del debitore" nei prestiti contro cessione del quinto dello stipendio e della pensione.
Tuttavia, le medesime istruzioni prevedono che, fino al 31 dicembre 2009, "al fine di verificare il rispetto del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari ai sensi dell'articolo 2, comma 4, della legge 7 marzo 1996, n. 108, gli intermediari devono attenersi ai criteri indicati nelle Istruzioni della Banca d'Italia e dell'UIC pubblicate rispettivamente nella G.U. n. 74 del 29 marzo 2006 e n. 102 del 4 maggio 2006".
Pertanto, nel periodo transitorio, gli oneri assicurativi imposti per legge direttamente a carico del cliente (anche per il tramite dell'intermediario), pur dovendo essere inclusi nel calcolo TEG per l'invio delle segnalazioni alla Banca d'Italia, ne rimangono esclusi al fine della verifica del rispetto del limite di usura. B.
Il primo problema che si pone è quello della validità delle istruzioni della Banca d'Italia antecedenti a quelle del luglio 2009 e delle disposizioni transitorie di queste ultime, nonché dei D.M. recanti i tassi soglia determinati in base alle rilevazioni effettuate in conformità alle stesse istruzioni.
Tale normativa, infatti, appare contrastare con il principio di onnicomprensività fissato dall'art. 644, comma 3, c.p. e valevole sia sotto il profilo penale che sotto quello civile, secondo cui "per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito".
La giurisprudenza di legittimità ha affrontato, anche se non nello specifico, la questione della validità del conteggio degli oneri assicurativi nell'ambito dei contratti di finanziamento mediante cessione del quinto dello stipendio o della pensione. Ha cioè esaminato il problema nel diverso caso di un contratto di finanziamento con oneri assicurativi facoltativi (per i quali le istruzioni della Banca d'Italia ante 2009 non prevedevano espressamente l'esclusione dai conteggi).
In quell'occasione, la Corte ha affermato che la "centralità sistematica" di tale norma in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante non può non valere pure per "l'intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell'usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le istruzioni emanate dalla Banca d'Italia".
Infatti, "se è manifesta l'esigenza di una lettura a sistema di queste varie serie normative, pure appare chiaro che al centro di tale sistema si pone la definizione di fattispecie usuraria tracciata dall'art. 644, alla quale si uniformano, e con la quale si raccordano, le diverse altre disposizioni che intervengono in materia." (Cass. civ. Sez. I, 05-04- 2017, n. 8806).
La sentenza impugnata appare conforme a tale ultimo orientamento.
C'è da aggiungere, inoltre, che la contestualità tra credito e assicurazione — quale espressione indicativa e presuntiva del 'collegamento' tra questi elementi che è richiesto dal comma 5 dell'art. 644 si pone, prima di ogni altra cosa, come manifestazione tipica di un'offerta sul mercato che si modella sull'articolazione di prodotti predisposti in modo unitario e preassemblati (ovvero a pacchetto).
4.3. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3, la "falsa applicazione dell'art. 115 c.p.c.". Il principio di non contestazione di cui alla nuova formulazione dell'art. 115 c.p.c. non poteva essere applicato nel caso di specie, in quanto la causa era stata radicata prima della novella.
Peraltro i fatti ritenuti pacifici dalla Corte di Appello sarebbero incontestabili.
Il motivo è inammissibile.
E' inammissibile perché è carente di autosufficienza, essendo il ricorso privo di una corretta ed essenziale narrazione della condotta processuale osservata dalle parti che avrebbe dato la stura alla conseguente soluzione accolta dal giudice di merito nonché dell'illustrazione dell'errore da quest'ultimo commesso e, in particolare, delle ragioni in fatto e M diritto che inducono a considerano come tale, addossando in tale modo alla Corte, il compito, ad essa non spettante.
Ma in ogni caso va osservato che già molto tempo prima della riforma dell'art. 115 c.p.c., che ha formalmente introdotto nel nostro ordinamento il principio di "non contestazione" (secondo cui il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita), questa Corte era pervenuta per via interpretativa all'affermazione di analogo principio: dapprima con riferimento al rito del lavoro (Cass. Sez. Un., n. 761 del 23/01/2002, Cass. Sez. Un., n. 11353 del 17/06/2004), quindi con riferimento al rito ordinario (ex multis, Cass. civ., Sez. 3, n. 2299 del 06/02/2004; Cass. civ., Sez. 1, n. 6936 del 08/04/2004; Cass. civ., Sez. 3, n. 5356 del 05/03/2009, Cass. civ., Sez. 1, n. 25516 del 16/12/2010; Cass. civ., Sez. 3, n. 10860 del 18/05/2011; Cass. civ., Sez. 3, n. 3727 del 09/03/2012; Cass. civ., Sez. 6-1, Ordinanza n. 20870 del 11/09/2013).
Questo principio, prima che fosse riformato l'art. 115 c.p.c., veniva fondato sulla lettera dell'art. 167 c.p.c.; tale previsione infatti impone al convenuto di prendere posizione in comparsa di risposta sui fatti posti dall'attore a fondamento della domanda: e da tale regola si trasse la conseguenza che la mancata contestazione, a fronte di un onere esplicitamente imposto dal dettato legislativo, costituisce di per sè adozione d'una condotta incompatibile con la negazione del fatto costitutivo della domanda, la cui prova diviene perciò inutile (Cass. civ. Sez. III, Sent., 06-10-2015, n. 19896).
Ma il motivo è pure inammissibile per difetto di interesse, posto che la stessa ricorrente ammette che i dati ritenuti pacifici dalla Corte di appello (il TEG effettivamente praticato in contratto, il TEGM del d.m. di riferimento ed il TAEG concreto comprendente i costi assicurativi era del 19,88%) erano incontestati perché incontestabili.
4.4. Con il quarto motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 3, la "falsa applicazione dell'art. 644 c.p. comma 3 e dell'art. 2 della 1. 108 del 1996", nonché la "violazione della legge n. 180 del 1950".
La Corte di appello non avrebbe verificato la sussistenza dell'elemento soggettivo dell'usura concreta, consistente nella consapevolezza, da parte del finanziatore, della sproporzione tra importo mutuato e importo da restituire, nonché nella volontà di praticare interessi esosi sfruttando l'appreso stato di bisogno del soggetto passivo. Inoltre, il dato relativo alla media degli interessi praticati per operazioni similari preso quale riferimento dalla sentenza impugnata non sarebbe corretto, perché farebbe riferimento al trimestre aprile-maggio-giugno 2008 (e quindi ad un periodo non coevo ma precedente alla stipula del contratto de quo, avvenuta nel luglio 2008) e perché si riferirebbe a tutte le cessioni di quinto e non solo a quelle praticate in ambito privato.
Peraltro, il confronto con i tassi medi praticati non consentirebbe di per sé di accertare la sproporzione e l'usura concreta, dovendosi porre attenzione anche alle concrete modalità del fatto.
Infine, non sarebbe corretta la sentenza nella parte in cui ritiene non contestabile che Italcredi abbia effettuato indagini economicopatrimoniali prodromiche alla concessione del finanziamento.
Infatti, nel caso di finanziamento contro cessione del quinto, diversamente da quanto avviene per gli altri prestiti personali, il cessionario dovrebbe solo ottenere conferma dell'esistenza del rapporto di lavoro dipendente, verificare che non esista un altro contratto di cessione del quinto, esaminare l'ultima busta paga e verificare che sia realizzabile la rata mensile fino al quinto della retribuzione in rapporto al periodo di ammortamento.
Il motivo è inammissibile, poiché con esso la parte si limita a sostenere un'interpretazione diversa dei fatti (le concrete modalità del fatto, le condizioni di difficoltà economico-finanziaria del Terzo, la conoscenza delle stesse da parte di Italcredi), a fronte della valutazione degli stessi da parte della Corte del merito, richiedendo un nuovo giudizio di 13 Corte di Cassazione - copia non ufficiale merito, laddove il controllo di legittimità non equivale alla revisione del ragionamento decisorio nè costituisce un terzo grado ove far valere la supposta ingiustizia della decisione impugnata. Inammissibile è pure la censura circa l'utilizzabilità quale parametro di riferimento dei dati rilevati dal d.m. del luglio 2008, che viene dedotta per la prima volta in questo grado di giudizio.
4.5. Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta, ai sensi dell'art. 360 c.p.c. n. 5, l'omesso esame su fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti".
La Corte di Appello non avrebbe tenuto conto del fatto che Italcredi non era destinataria del premio, né riceveva alcuna utilità dallo stesso. Il TEG, nel periodo ante 2009, avrebbe incluso solo gli importi fissati contrattualmente a carico del cedente e remunerativi per il cessionario e non le garanzie del credito.
Premesso che dalla formulazione del motivo, non si comprende se le censure del ricorrente attengano al capo della sentenza che ha ritenuto sussistente l'usura c.d. presunta, ovvero si riferiscano a quello che ha ritenuto che, in alternativa, ricorre comunque l'usura c.d. in concreto, richiamando quell'orientamento giurisprudenziale secondo cui, anche se è accertato lo stato di difficoltà economica, la sussistenza della sproporzione non può ritenersi in re ipsa, dovendo comunque dimostrarsi il vantaggio unilaterale conseguito dalla banca. (cfr. Cass. Civ. sez III, n. 19282 del 2014).
Nel primo caso, le censure sarebbero infondate.
Infatti, le spese per le assicurazioni o garanzie intese ad assicurare al creditore il rimborso totale o parziale del credito erano incluse nel conteggio del TEG, già prima del 2009 ove imposte dal creditore, a prescindere dalla circostanza che il medesimo creditore fosse o meno destinatario del premio.
Nel secondo caso, la censura è inammissibile poiché del tutto irrilevante, posto che le spese assicurative non sono state considerate dalla Corte di Appello ai fini della valutazione sulla ricorrenza della usura in concreto.
- Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.
- Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente da distrarsi a favore dell'avvocato antistatario, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 7.800,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza