Nel nostro ordinamento la donazione di un bene altrui, benché non espressamente vietata deve ritenersi nulla per difetto di causa e tale deve senza dubbio ritenersi la donazione da parte del coerede della quota di un bene indiviso compreso in una massa ereditaria non potendosi certamente affermare che prima della divisione il singolo bene faccia parte del patrimonio del coerede donante (Cassazione Civile, SS.UU., 15 marzo 2016, n. 5068 – Pres. Cicala – Rel. Petitti).
La donazione di cosa altrui o anche solo parzialmente altrui è nulla:
“…prima ancora che per la possibile riconducibilità del bene altrui nella categoria dei beni futuri, di cui all’art. 771, primo comma, cod. civ., la altruità del bene incide sulla possibilità stessa di ricondurre il trasferimento di un bene non appartenente al donante nello schema della donazione dispositiva e quindi sulla possibilità di realizzare la causa del contratto (incremento del patrimonio altrui, con depauperamento del proprio)”.
La nullità della donazione di cosa altrui trova, quindi, il suo fondamento non già (o non tanto) nell’art. 771 c.c. quanto piuttosto nell’impossibilità di realizzazione della causa del contratto di donazione.
In conformità alla previsione di cui all’art. 757 c.c., secondo il quale “Ogni coerede è reputato solo e immediato successore in tutti i beni componenti la sua quota o a lui pervenuti dalla successione, anche per acquisto all'incanto, e si considera come se non avesse mai avuto la proprietà degli altri beni ereditari” non può certamente ritenersi “… che il coerede possa disporre, non della sua quota di partecipazione alla comunione ereditaria, ma di una quota del singolo bene compreso nella massa destinata ad essere divisa, prima che la divisione venga operata e il bene entri a far parte del suo patrimonio” (Cass. SS.UU 2016 del 15 marzo 2016, n. 5068).
La quota sul singolo bene, dunque, considerando la possibilità che non entri “mai” a far parte del patrimonio del coerede, è equiparabile al bene altrui non potendosi dubitare che la stessa potrebbe non entrare mai a far parte del patrimonio del coerede, potendo, quella quota, o l’intero bene, essere assegnati ad altri o trattandosi di bene indivisibile, il cessionario riceva soltanto una somma in danaro e che l'intero bene comune sia assegnato ad altro partecipante o venduto all'incanto (art. 720 c.c.): pertanto, nel momento dell’atto dispositivo, la quota è bene altrui.
Né varrebbe distinguere – prosegue la S.C. – tra i “beni altrui” e i beni “eventualmente altrui”, trattandosi, nell’uno e nell’altro caso, di beni non presenti, nella loro oggettività, nel patrimonio del donante al momento dell’atto, l’unico rilevante al fine di valutarne la conformità all’ordinamento. (in tal senso anche A. SPATUZZI, Futurità e attualità dei beni oggetto di donazione, in Riv. Notariato, 2015, 973: la maggiore probabilità (…) di acquistare il bene attualmente comune in sede di apporzionamento del patrimonio condiviso, non sembra in grado di mutare l’indole della donazione, la quale continua ad atteggiarsi a contratto obbligatorio, orfano, nell’immediato, di efficacia traslativa, sempre che il donante non ignori l’alienità di quanto intenda trasferire).